Il Fatto Quotidiano

“Caro maestro, perché la modestia è una virtù?” LEO LONGANESI

Dialogo tragicomic­o tra gli alunni e il prof “Lei, signore, non nasconde la sua autorità: lei allora non è umile...”. “Hai ragione, piccolo, ma io non posso esserlo perché sono il vostro insegnante”

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“Oggi, dopo un diluvio di fasto, è ritornata la modestia, e la modestia, miei cari, è la più bella delle virtù”, disse il maestro elementare. E nessuno fiatò. Ma a un tratto, il piccolo Daniele si alzò. “Che cos’è la modestia?” domandò con voce sottile. Il maestro sorpreso guardò il ragazzo, poi spiegò: “La modestia, vedi, è un modo di nascondere i propri meriti ed anche i propri difetti... capis ci ?” Ma Daniele fece una strana smorfia, che voleva dire: “Non ho capito”. Allora il maestro si assestò gli occhiali sul naso e continuò: “S arò più esatto: la modestia, mio caro, è l’arte di non offendere il prossimo, di non far pesare la propria superiorit­à, morale o materiale, sul prossimo …”. Daniele ripete la smorfia di poco prima, e il maestro capì che bisognava cambiare strada.

“FACCIAMO un esempio”, disse. “Se tu sei un re, Daniele, un vero re, non devi, di fronte ai tuoi sudditi, umiliarli con la tua potenza, devi anzi nascondere di essere re”.

“Perché?” domandò Daniele.

“Perché?” disse il maestro. “Perché non è educato mostrare ai più deboli la propria forza... La modestia insegna a nascondere la propria autorità, il proprio sapere, la propria ricchezza…”.

“A l lo r a ”, disse Daniele, “la modestia insegna a fingere”. Il maestro fece una strana smorfia e disse: “Siedi!”. Daniele sedette, a testa alta, proprio senza modestia, perché capiva di aver detto qualcosa di giusto. Ma a un certo punto, si alzò Giulio dal fondo della classe e disse: “Lei, signor maestro, non nasconde la sua autorità: lei, allora, non è modesto”. Il maestro restò di sasso; guardò il ragazzo e si sentì in trappola. Qualcosa doveva rispondere. Finse di sternutire, tolse di tasca il fazzoletto, si soffiò il naso e nel frattempo pensò al miglior modo di rispondere.

“Hai ragione, mio caro”, disse, “ma non come credi... Io non posso essere modesto con voi, perché sono il vostro maestro…”. Giulio fece una smorfia e sedette. Ed anche sul volto del maestro restò una smorfia: nessuno dei due era soddisfatt­o di quella risposta.

“Certo”, disse fra sé il maestro, “non sono stato troppo chiaro” e cercò di mettere ordine nei propri pensieri.

“Ricapitoli­amo, dunque”, sospirò. “La modestia è un modo di non apparire quel che si è, perciò è una finzione, ma anche le finzioni sono utili a questo mondo. Tutta l’educazione, in fine, non è che una finzione... Chi finge di essere debole essendo forte, di essere povero essendo ricco, mediocre essendo intelligen­te certo inganna il prossimo, ma, d’altro canto, chi ostenta il proprio potere è peggiore di chi lo nasconde, perché offende…”

In quel mentre suonò il campanello: la lezione era finita, grazie a Dio.

“Ne riparlerem­o domani della modestia”, disse il maestro uscendo. Ma in strada, egli seguitò a pensare alle parole di Daniele. Poi si arrestò davanti a una edicola e acquistò un giornale.

“Einaudi a Napoli visita De Nicola”, era scritto. “De Nicola era ad attendere Einaudi sulla porta. Si sono abbracciat­i. De Nicola era ancor più pallido e il mento gli tremava.”

“ECCO DUE uomini modesti”, disse il maestro tra sé, “due uomini democratic­i”. Allora pensò che la democrazia e la modestia sono una cosa sola; pensò a Cincinnato, a Giuseppe Garibaldi, a Beniami- no Franklin e fu lieto di aver trovato lo spunto della sua prossima lezione. All’indomani, infatti, appena in classe, il maestro cominciò a dire: “Ri t o rn i amo, dunque, alla modestia e vediamo di chiarire un po’ le vostre idee. La modestia è una virtù democratic­a, miei cari ragazzi; essa nasce da una concezione del mondo diversa da quella antica; nasce, cioè, dal rispetto de ll’uomo per l’uomo. Un tempo, un giardinier­e per un re, per un nobile, per un prelato era soltanto un giardinier­e; dopo la rivoluzion­e francese, quel giardinier­e divenne un uomo come tutti gli altri, come il re, come il nobile, come il prelato.

Ecco, allora, che l’uomo, divenuto democratic­o, non crede più nei privilegi ereditati, non li rispetta più, e da quel momento la modestia diventa una virtù. Cadendo i privilegi, tramonta il fasto, scompaiono le divise lussuose; l’uomo ama tutto quello che è modesto e semplice; voi vedete, infatti, gli abiti maschili diventare meno vistosi, più comodi; e tutti vestire nello stesso modo. Nei tempi moderni, insomma, la modestia diventa la regola della nuova società costruita sui diritti dell’uomo... E poiché oggi è l’anniversar­io della repubblica, vi dirò, miei cari, che la modestia è repubblica­na”.

E con queste ultime parole, il maestro sentì di aver detto qualcosa di definitivo. Nella classe regnò il silenzio; si udì volare per qualche istante una mosca, ma Daniele si alzò.

si conservano i corazzieri e si suonano le trombe?” disse Daniele.

“Perché”, rispose il maestro, “perché il fasto è necessario, perché l’autorità, mio caro, deve avere il suo aspetto solenne, deve apparire austera, e non si è austeri in mutande”.

I ragazzi risero, e il maestro pensò di aver chiuso degnamente la sua lezione. Ma Daniele non disarmò: “E allora perché si predica la modestia se l’autorità deve essere solenne?”.

“Siedi!” disse il maestro. E si udì ancora volare la stessa mosca di prima.

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