Il Fatto Quotidiano

“Non si legge tutto, ma se vuoi fare lo scrittore studia i classici”

L’INTERVISTA Il dibattito sollevato dal “Fatto” sui giovani autori “Il talento non basta, come in tutti i mestieri ci vuole l’apprendist­ato”

- » SILVIA D’ONGHIA

necessario leggere tutto un autore? No. È possibile leggere tutta la letteratur­a? No. Però se vuoi fare questo mestiere, hai un obbligo: leggere il più possibile. Bisogna studiare, perché nessuno nasce imparato”. Antonio Pennacchi non è uno che va troppo per il sottile. Premio Strega nel 2010 con Canale Mussolini, una vita (o quasi, 30 anni) in fabbrica a Latina, una migrazione politica da disilluso, sa bene cosa serve per diventare uno scrittore. Quando gli chiediamo se vuole intervenir­e nella polemica scatenata su questo giornale da Francesco Musolino (che ha fatto ammettere a dieci giovani autori di non aver letto tutti i classici, provocando irritazion­e e sdegno da parte di lettori e colleghi), il suo carattere (solo in apparenza) burbero all’inizio lo fa tagliare corto: “Ognuno fa quello che gli pare”.

Pennacchi, quindi uno scrittore può permetters­i il lusso di non leggere i classici?

Tutto non si può leggere, non è possibile. Escono migliaia di libri ogni anno. Non ce la si fa, neanche se uno volesse leggere ciò che viene pubblicato nell’ambito di una piccolissi­ma branca. Siamo destinati a restare nell’ignoranza.

Ma qui si sta parlando di classici, non di moderni. Sarebbe utile leggere tutti i classici o l’intera produzione di un autore classico, ma non basta una vita. E poi c’è da fare un discorso di selezione personale: ci sono le opere che ti piacciono e quelle che non ti piacciono, mica siamo tutti uguali. Come definirebb­e un classico? Come un’opera o un autore che resistono al passare del tempo, che continuano a essere letti anche dopo il loro tempo.

Quindi delle pietre miliari.

Per questo è necessario leggerli se si vuole fare questo lavoro. La scrittura è un mestiere e, come tutti i mestieri, richiede l’apprendist­ato. Se lei va a lavorare in bottega, deve imparare a usare mazzetta e scalpello, altrimenti si prende le dita a martellate. E come impara? Guardando chi il mestiere lo sa già fare.

Quindi non è sufficient­e avere talento?

Lo diceva anche Mark T- wain: l’opera d’arte solo al due e mezzo per cento è opera di talento. Il resto è disciplina, regola, sacrificio, mestiere. E questo si impara. I classici ti insegnano la struttura della storia.

Ma le tecniche di scrittura nel tempo sono cambiate. È vero che oggi con la tv, con il cinema, con Internet, tutto sembra essersi velocizzat­o, le storie le vedi anziché leggerle. Ma è un altro linguaggio, quello dell’immagine. Non quello della scrittura. E comunque anche se vuoi raccontare una storia, prima la devi ascoltare.

Facciamo il nome di qualche classico.

E allora dobbiamo partire dagli antichi. Non so se co- minciare da Omero o dalla Bibbia, che è un grande romanzo. O da Virgilio.

Quali sono i suoi classici di riferiment­o?

Gli americani – John Steinbeck, molto più di William Faulkner –e i russi: Le anime m or t e di Gogol’ non puoi non averlo letto. E poi Stevenson, Melville (non solo Moby Dick), Twain, Jack London, Jules Verne.

Solo stranieri? La letteratur­a italiana non annovera classici?

Non abbiamo una grande storia del romanzo, abbiamo cominciato a scriverne davvero soltanto nel 900 (dell’800 io salvo I Viceré di De Roberto). I miei punti di riferiment­o, quelli che ho amato? Fenoglio, Bianciardi, Piero Chiara, il Montanelli de Il generale Della Rovere, Il tempo di uccidere di Flaiano. A quali libri si è affidato per i suoi romanzi?

L’uomo e la marionetta di Piero Angela per Mammut. E guardi che non scherzo, Piero Angela è una cosa seria. Poi la Storia del paesaggio agrario i ta li an o di Emilio Sereni e la Filosofia della pratica di Benedetto Croce.

Ora le chiedo, se vuole, di stare allo stesso gioco cui si sono sottoposti i giovani autori interpella­ti da Musolino. Quale classico non ha letto? Ce lo confessa?

( Qualche attimo di silenzio, quasi non volesse rispondere. Poi invece capiamo che sta solo scegliendo un autore). Proust. Mia moglie lo legge, a me non interessa finirlo. A un certo punto ho detto basta. E mica può essere una condanna la lettura! E pure Hermann Broch. Il tempo non ce l’hai per fare tutto. Anche nei classici devi trovare quello che ti piace e, quello sì, te lo devi far tutto.

Lei ha cominciato a scrivere a 36 anni, lavorava in fabbrica, ma è riuscito a pubblicare solo a 44. Prima leggeva molto? E cosa leggeva?

La mia è una formazione da autodidatt­a. Il mio criterio di selezione, all’inizio, era il prezzo dei libri sulle bancarelle dell’usato. Poi man mano che imparavo a conoscerli, compravo gli autori che mi interessav­ano. Leggere quando si è giovani quindi è importante.

I libri che ti formano davvero sono quelli che leggi da giovane.

Perché dopo diventi meno permeabile?

Dopo cambiano il tempo che hai a disposizio­ne – quando sei ragazzo puoi permettert­i di leggere anche 12 ore al giorno – e la capacità di assorbimen­to, non sei più tabula rasa. Io i libri più importanti li ho letti prima dei 25 anni. Certo, poi alcuni vanno riletti più e più volte, perché certe sfumature le cogli solo con il tempo. L’Infernodi Dante bisognereb­be impararlo a memoria: solo quando l’ho fatto mi sono reso conto che alcune allusioni mi entravano dentro meglio. Torniamo al discorso di prima: bisogna studiare. Se vuoi entrare in sala operatoria come chirurgo, devi aver studiato Medicina.

E cosa deve studiare chi vuole fare lo scrittore? Lettere. Incontro tanti ragazzi, 18-20 anni, che si iscrivono a Scienze della Comunicazi­one o a Giurisprud­enza. Io chiedo: ‘E perché non Lettere?’. Mi rispondono: ‘Scrivere, so già scrivere. Almeno imparo un altro mestiere’. Come se il talento, anche qualora ci fosse davvero, bastasse. Se per scrittura intendiamo l’arte, non il puro intratteni­mento ma il tentativo di aprire una finestra nuova sulla visione del mondo e dei sentimenti, se l’arte deve essere un tentativo di allargare gli orizzonti d’attesa del lettore, allora bisogna che tu legga tanto.

Altra domanda provocator­ia: non si rischia di essere poi influenzat­i dalla lettura degli altri?

Credo di no. Se scrivi come ha scritto lui lo ripeti, non dici niente di nuovo. Leggere ti serve per imparare la struttura del racconto e farla tua. A quel punto deve venir fuori quello che hai tu dentro.

Come giudica la giovane narrativa italiana?

Noi siamo in una fase di transizion­e. Possiamo fare buone cose, soprattutt­o con le nuove generazion­i. Però mi permetto di dare un consiglio ai giovani: mettete al primo posto le storie, quelle che avete dentro e che urgono di venire fuori. La hybris di voler scrivere non può derivare dalla vostra voglia di affermazio­ne nel mondo. Non dovete fare gli scrittori perché così diventate famosi, altrimenti è meglio che andiate a fare i balletti porno…

FORMAZIONE DA AUTODIDATT­A

Il mio criterio di selezione, all’inizio, era il prezzo dei libri sulle bancarelle dell’usato Poi ho cominciato a scegliere

I RIFERIMENT­I PER I ROMANZI

La ‘Storia del paesaggio agrario italiano’ di Sereni e la ‘Filosofia della pratica’ di Croce. E pure Piero Angela MARCEL PROUST

Mia moglie l’ha finito, io no. Sono arrivato a un certo punto e ho detto basta. E mica può essere una condanna la lettura! CONSIGLI NON RICHIESTI

La hybris di voler scrivere non può derivare dalla voglia di affermazio­ne di sé Se volete solo diventare famosi andate a fare i balletti porno

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Ansa Premio Strega 2010 Antonio Pennacchi ha vinto con “Canale Mussolini”
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