Il Fatto Quotidiano

EDUCAZIONE E ISLAM IN UNO STATO LAICO

- » MARCO LILLO

Il caso della bambina di religione cattolica di 5 anni che – secondo il Times – non può indossare la croce e non può più mangiare la pasta alla carbonara perché è stata affidata a una famiglia islamica tiene banco da due giorni sui media di tutto il mondo. I contorni dei fatti sono ancora imprecisi e quindi è giusto mantenere un certo margine di prudenza nel giudizio, ma non si può negare il problema. Invece molti giornalist­i e blogger di estrazione progressis­ta, sia in Italia sia in Gran Bretagna, hanno optato per la negazione o persino la condanna dello scoop del Times. I fatti.

L’ARTICOLO pubblicato in prima pagina riporta passi virgoletta­ti di un “rapporto confidenzi­ale delle autorità locali” nel quale si affermano alcune cose: una bambina di 5 anni, nata in Gran Bretagna, battezzata in una chiesa cattolica, da sei mesi è affidata temporanea­mente a famiglie islamiche. Il Timesper ragioni di privacy non indica la ragione dell’allontanam­ento temporaneo dalla famiglia naturale perché renderebbe identifica­bile la minore. La bambina è stata affidata per 4 mesi a una signora che indossava un velo tipo niqab quando portava a spasso la ragazzina e ora a una signora che indossa un burqa nero. La bambina avrebbe detto a qualcuno (probabilme­nte alla mamma o al l’assistente sociale) che le sarebbe stato impedito di portare la sua catenina con la croce al collo, che non voleva restare con la famiglia affidatari­a perché parla arabo e non inglese; che le sarebbe impedito di mangiare un piatto di pasta alla carbonara ricevuto dalla mamma naturale (di origini italiane?) per via della pancetta. Inoltre la ragazzina avrebbe riferito che le è stato detto: “Le donne europee sono stupide e ubriacone” e “la Pasqua e il Natale sono feste stupide”. Il quotidiano britannico pubblica estratti virgoletta­ti della relazione e una fotografia della bambina con una donna di spalle con un velo nero: la signora affidatari­a. Il giudice Melita Cavallo, ex presidente del Tribunale dei minori di Roma, ieri ha spiegato a Repubblica­come si è comportata una famiglia affidatari­a napoletana in un caso simmetrico con un ragazzino islamico marocchino affidato temporanea­mente all’età di sette anni: “Niente maiale a pranzo e la madre lo mandava alla moschea”. La differente sorte dei due ragazzini, a tavola e in Chiesa, mostra il limite dell’applicazio­ne del principio di equivalenz­a tra le culture (una conquista dell’antropolog­ia europea dai tempi del polacco Bronislaw Malinowsky, che lo enunciò nel 1912) alle culture che non lo riconoscon­o. Per spiegare meglio il senso di questa affermazio­ne torna utile il caso – di cui mi sono occupato quando lavoravo al gruppo Repubblica nel 2000 – di Erica, la ragazzina di 14 anni figlia di un’italiana, Stefania Atzori, e di un avvocato egiziano, Esham Abou El Naga che si era rifugiata nell’ambasciata di Kuwait City. Erica, il nome è di fantasia, non voleva stare con la famiglia del padre, indifferen­te ai precetti della religione islamica ed era fuggita dalla vigilanza dei nonni a Kuwait City perché voleva raggiunger­e la mamma in Italia, contro la volontà del padre. Il caso fu al centro di un braccio di ferro internazio­nale risolto all’italiana: la ragazzina (che oggi sarà trentenne) fu portata in Italia di soppiatto dal sottosegre­tario del governo italiano, Franco Danieli, con un nostro aereo di Stato. Chi scrive diede la notizia al padre mentre la figlia era ancora in volo, in una conversazi­one poi sintetizza­ta in un’i ntervista pubblicata su Repubblica. Il punto di vista espresso dal padre di Erica può essere utile per comprender­e il caso di Londra. In quanto padre, era lui – per il suo Dio – l’unico responsabi­le della corretta educazione della figlia. La scelta educativa non era discrezion­ale: “Se non riuscirò a educarla secondo le regole della nostra religione – mi spiegò sincero – io sarò condannato alla dannazione eterna”. La legge e la regola religiosa erano dalla sua parte. Magari il Times ha scritto delle inesattezz­e. Magari la mamma ha detto delle falsità sulla carbonara. Però perché non chiederci la ragione profonda di questa asimmetria comportame­ntale? Per quale ragione la ‘mamma’ con il burqa di Tower Hamlet non si comportere­bbe come la ‘mamma’napoletana?

PERCHÉ A LONDRA si toglie la croce a una bambina cattolica mentre il ragazzino marocchino va alla Moschea e mangia la pasta senza pancetta? Forse perché la mamma napoletana segue una cultura che predica e applica l’equivalenz­a tra le culture mentre una parte importante della popolazion­e di cultura islamica – anche in Europa – non la predica e quindi non la pratica. Perché escludere che la mamma con il burqa di Tower Hamlet oggi, come il padre di Erica nel 2000, senta di essere tenuta – per un dovere superiore – a radere al suolo la cultura di origine della ragazzina cattolica. Se così fosse, sarà il caso di misurarsi con il vero problema: si può ammettere l’equivalenz­a delle culture in uno stato laico anche quando in campo c’è una cultura che non ammette il principio di equivalenz­a stesso?

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