L’Unità non c’è più e anche le Feste non stanno troppo bene
Piazze piene, urne vuote: se nel 1948 il leader socialista Pietro Nenni aveva ragione quando riassumeva così la bruciante sconfitta del Fronte Popolare Pci-Psi, oggi in molti nel Partito democratico si chiedono se il detto valga pure al contrario. Le Feste dell’Unità, che fino a pochi anni fa registravano il tutto esaurito, di giorno in giorno offrono spettacoli sempre più desolati. Il 25 agosto a Reggio Emilia, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha visto partecipare al suo incontro non più di trenta persone. Scese a quindici una volta espunti dalla conta dei presenti i giornalisti e i componenti dello staff. A Bologna invece sono stati più prudenti. Visto che prevenire è meglio che curare hanno fatto sparire la tradizionale grande sala dibattiti. Sostituita da un Tir attrezzato davanti al quale ci sono 84 sedie e quattro file di panche lunghe 12 metri. A Milano invece la festa (si fa per dire) c’è già stata. Gli organizzatori avevano promesso 50 mila presenze ai commercianti di generi alimentari che avevano affittato gli stand. In 15 giorni, secondo stime delle forze dell’ordine, ce ne sono state dieci volte di meno (il Pd parla invece di 15 mila persone). Sarà stato per il caldo o per le zanzare, ma nemmeno la visita di Matteo Renzi ha rovesciato la situazione. Alla sua cena con i volontari il segretario ha fatto solo una comparsata. Giusto il tempo per dare ai 100 presenti la possibilità di seguire le istruzioni di comportamento contenute in un volantino lasciato sui tavoli: “Scatta una foto del ristorante con gli hashtag #lamiacenaconmatteo e #lamiafestaU e condividila sui social. L’indomani vai sulla pagina facebook della festa e cerca la tua foto”. Possibilità rimasta sfortunatamente per gli ideatori solo sulla carta.
LE SPIEGAZIONI di una tanto grande disaffezione sono note: la sconfitta referendaria; la delusione della base per una serie di provvedimenti considerati di destra; Renzi che promette, ma che non mantiene; le primarie per la segreteria sotto tono; la fuga di molti dirigenti verso il Mdp; la crisi economica e tanto altro. Dilungarsi sull’analisi ha insomma poco senso. Di certo però almeno una riflessione sul brand di questi eventi il Pd la dovrebbe fare. Chiamare i propri tentativi di raduno Feste dell’Un ità è ormai un errore. L’Unità non esiste più. Né come giornale, né a sinistra. La prossima unione, grazie alla legge elettorale proporzionale, sarà verosimilmente con la destra.
Lo ha detto il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, che il 13 aprile in un’intervista al Foglio ha auspicato la creazione di un fronte anti M5S con Forza Italia. E lo testimonia pure un questionario distribuito tra gli iscritti bolognesi in cui si domanda loro esplicitamente con chi i Dem dovrebbero allearsi dopo le urne: Grillo? Il centrodestra? La sinistra? Tutti nel ciclostilato vengono sullo stesso piano: anche Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi, il proprietario di Mediaset fino a 5 anni fa considerato il nemico pubblico numero uno.
Così, sempre a Bologna, le battute si sprecano. La Festa ha come sottotitolo: “Romanzo popolare”. È la citazione di uno straordinario film del ’74 di Mario Monicelli, che però quasi nessuno ricorda. Tanto che i cronisti raccontano di aver sentito molti cittadini ed ex iscritti (erano 100 mila ora sono 14 mila) dire, in piedi davanti ai manifesti: “Altro che popolare, questo è un romanzo criminale”. Frase un po’ forte, ma che guardando al pedigree dell’ex Cavaliere e di parecchi tra i suoi, in fondo rende bene l’idea. Povero Pd. Povera Italia.