Il Fatto Quotidiano

La suora che mi restituì il futuro (e pure la chiappa)

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lori come riflessi di un altro mondo, un cielo infuocato sul cui fondo si stagliavan­o netti i profili delle montagne specchiate sulla variegata superficie del lago. Mi parve a un certo punto che tutta quella bellezza fosse una sorta di sinfonia, come se il paesaggio dentro il quale ero nato e mi stavo formando volesse darmi un addio oppure un saggio di ciò che avrei perduto se non fossi uscito vivo dall’ospedale.

Una volta nella mia cameretta – privata, come si usava in quegli anni lontani anche, forse soprattutt­o, nei piccoli ospedali di provincia –, mi ritrovai solo con la mia ango- scia e, senza che ciò suoni offensivo, non mi fu di alcun aiuto la sigla, diffusa dai ripetitori collocati in ogni stanza, della trasmissio­ne Ascolta si fa sera e le parole del conduttore, sante e impregnate di speranza, ma che trovavo difficili da volgere in un senso che mi permettess­e di scommetter­e sull’indomani.

Avessi avuto qualcosa da lasciare, avrei fatto testamento.

Se l’idea, peraltro peregrina, si dissolse in un amen, lo devo a una suora. Una suora in età, che consumava gli ultimi anni di lavoro presso il nostro ospedale e che, in virtù dell’esperienza maturata prima in missione e poi in altri ospedali, sapeva lenire turbamenti e ubbie con pochi gesti e poche parole. Le parole non le ricordo, forse furono un appello a non dimenticar­e il mio essere uomo. I gesti però li ricordo eccome, uno su tutti: la sua estrema abilità, senza bisogno di alcun aiuto, nel bloccarmi sul letto con un braccio e con l’altro, la mano armata di un’enorme siringa ripiena di penicillin­a, a pungermi il gluteo lasciandov­i un persistent­e ricordo.

DOPO QUEL primo intervento, mentre la suora, che molti anni dopo mi avrebbe ispirato la figura della suora storta, leniva il dolore massaggian­domi con un batuffolo intriso di alcol, ebbi l’ardire di chiedere quante altre iniezioni mi sarebbero toccate. La risposta che ebbi – sembrerà strano, ma fu proprio così – me le fece desiderare: quattro, cinque, al massimo sei, dipendeva da come fossero andate le cose dopo l’intervento. La ringraziai per ciò che aveva detto, per quel “dopo l’intervento” che aveva pronunciat­o, a significar­e che sarei sopravviss­uto, alla faccia delle lugubri previsioni della mamma del mio amico che peraltro non mancò di venirmi a trovare, orgogliosa di essere stata lei la prima a formulare un sospetto diagnostic­o rivelatosi esatto.

 ?? LaPresse ?? Il personaggi­o “La Verità della suora storta” è uno dei romanzi di Andrea Vitali, scrittore e medico di Bellano
LaPresse Il personaggi­o “La Verità della suora storta” è uno dei romanzi di Andrea Vitali, scrittore e medico di Bellano

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