Dalla Prima
Prima
la Guardia costiera di Tripoli – nella peggiore delle ipotesi – scortava le navi degli scafisti e – nella migliore – si voltava dall’altra parte sul traffico di esseri umani. Ora fa il suo mestiere di pattugliamento, prevenzione e repressione. È strano che chi contestava il Codice Ong (ripetiamo: siglato da 5 su 9 di esse), gridando addirittura al fascismo e al razzismo, ora taccia, come se il calo degli sbarchi non fosse una buona notizia (così com’è strano che chi gridava al fascismo e al razzismo per lo sgombero del palazzo occupato a Roma ora taccia sulle ributtanti storie di racket dei subaffitti, sfruttamento di migranti anche da parte di altri migranti e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che emergono dalle indagini della Procura). Meno migranti partono, meno persone rischiano di annegare, meno irregolari vanno identificati e respinti oppure circolano in Italia e in Europa senza documenti né lavoro, meno benzina entra nelle fabbriche della paura e della xenofobia. L’obiezione è nota: chi non parte, non sbarca e non rischia di affogare più resta rinchiuso nei campi profughi della Libia (che peraltro esistevano anche prima, con l’unica differenza delle migliaia di morti in mare). E questa è l’altra parte della sfida del governo, che sarà vinta solo se davvero l’Europa tradurrà in pratica gli impegni assunti l’altroieri a Parigi per creare centri di identificazione in Africa e separare in loco chi ha diritto allo status di rifugiato e chi no.
Se ciò, come stabilito, avverrà sotto il controllo dell’Unhcr, questa vigilerà sul rispetto dei diritti umani in quei campi. Ma, siccome anche i Cie sono molto spesso strutture senza diritti, oltretutto insufficienti a ospitare tutti i richiedenti asilo, non si vede perché far sbarcare chi non è profugo, metterne in pericolo la vita ingrassando i trafficanti e, dopo anni di trafile burocratiche, rispedirlo indietro. Se si riuscisse a riportare un minimo di legalità nei campi africani, anche con l’aiuto di contingenti militari europei, si potrebbero aprire i corridoi umanitari nel Mediterraneo perché siano le navi dei governi a trasportare i veri rifugiati in Europa. Sempreché, si capisce, sia vero quel che si è detto a Parigi, e cioè che i trattati di Dublino che scaricavano tutto il peso sull’Italia sono “superati”. Dopodiché ogni Stato dovrebbe investire le risorse necessarie per accogliere degnamente i rifugiati. L’impresa è immane, ma per la prima volta dopo anni di chiacchiere, giaculatorie, opposte propagande e soprattutto stragi, se ne vede almeno l’inizio. E va riconosciuto a Minniti e Gentiloni il merito di essere riusciti là dove tutti i predecessori avevano fallito: iniziare non a risolvere il problema (sarebbe impossibile: un fenomeno biblico come questo continuerà per decenni), ma almeno a gestirlo seriamente, con la visione complessa che richiede. Esistono alternative? Se qualcuno le conosce le tiri fuori. Altrimenti, dopo decenni di derby parolaio e inconcludente fra destra e sinistra, è il caso di piantarla. E di rassegnarsi all’idea che ridurre le partenze dei migranti non è né di destra né di sinistra: è giusto e utile. Anzitutto per i migranti.