La disoccupazione torna a crescere. Ma Renzi twitta
Il dato generale sui senza lavoro all’11,3%, per i giovani risale al 35,5% Il precariato non è più la porta d’ingresso per la stabilità, ma la regola
Ipiani
del governo per l’occupazione sembrano, ancora una volta, non fare tesoro degli effetti che il susseguirsi di riforme ha provocato nel mondo del lavoro. Stando a dati pubblicati ieri dall’Istat, a luglio l’occupazione aumenta di 59 mila unità, tutti uomini e distribuiti piuttosto equamente tra dipendenti a termine e permanenti e occupati indipendenti. Il tasso di occupazione rimane al
58% (tra i più bassi della Ue) a segnalare la stagnazione del mercato del lavoro. Nello stesso mese, il tasso di disoccupazione aumenta dello 0,2% (11,3%) spinto dalla riduzione del tasso di inattività. Brutte notizie anche per i giovani (15-24 anni): il tasso di disoccupazione è al 35,5%, in aumento di 0,3% rispetto al mese precedente. Mentre sul totale della nuova occupazione solo il 15% sono giovani (+47 mila). Tuttavia, il mese di luglio rafforza tutte le dinamiche in atto ormai da anni nel mercato del lavoro italiano. Nel confronto col luglio 2016, la composizione della nuova occupazione è profondamente sbilanciata a favore dei dipendenti a termine (+286 mila contro i 92 mila a tempo indeterminato). Va peraltro ricordato che per risultare occupati è sufficiente che nella settimana della rilevazione si sia svolta un’ora di lavoro retribuito, in una qualsiasi attività. Nonostante i dati raccontino una realtà diversa, c’è però chi esulta, come l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, che twitta “+ 918MILA posti lavoro da feb 2014 (inizio #millegiorni) a oggi. Il milione di posti di lavoro lo fa il #JobAct, adesso #avanti”. Non importa che da quel febbraio del 2014, di questi 918 mila nuovi occupati il 46% siano a termine, sconfessando le capacità del Jobs Act di imporre un cambio di rotta tra occupazione a scadenza (che corre con a un tasso di crescita del 22%) e a tempo indeterminato (al 4%), con tutte le precauzioni del caso, visto che i nuovi contratti non garantiscono più la stabilità dei rapporti di lavoro. La quota di dipendenti a scadenza, oggi al 15,4%, tocca ogni mese un nuovo record mostrando che il precariato non è più la porta di ingresso verso un’occupazione stabile ma condizione persistente per sempre più lavoratori. Sulla stessa lunghezza d’onda, i dati dell’osservatorio sul precariato dell’Inps, secondo cui nel primo semestre del 2017, le cessazioni di contratti a tempo indeterminato superano di gran lunga le assunzioni, per un saldo netto pari a -149.601. Non bastano neppure le trasformazioni di contratti a termine in permanenti, 141.873, per invertire il segno del saldo. Anche dall’osserva- torio emerge chiaramente che a farla da padrone sono i contratti a termine, 788.129 al netto delle cessazioni, +67,7% rispetto allo stesso periodo del 2015. Infine, è da notare il dato sulle assunzioni a tempo indeterminato beneficiarie degli sgravi per l’occupazione giovanile previsti dalla scorsa legge di stabilità: in totale sono 19.152. Ben lontana dagli obiettivi dei 300 mila che il ministro Poletti e Confindustria dichiarano di voler raggiungere prorogando e aumentando gli sgravi a oltranza.