Più euro per tutti, Juncker archivia l’Ue a due velocità
Lo Stato dell’Unione Nel suo discorso annuale il presidente della Commissione indica le tappe per una Europa politica
Si chiama “Discorso sullo Stato dell’Un i o ne ” come quello del presidente degli Stati Uniti, ma Jean Claude Juncker è soltanto il presidente della Commissione europea. Uno dei più deboli di sempre, peraltro. E la sua lunga e apprezzata lista di proposte per salvare l’Unione europea, presentata ieri nei 70 minuti di intervento davanti all’Europarlamento, è poco più che un insieme di spunti di riflessione per Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Dopo le elezioni tedesche del 24 settembre si capirà se la cancelliera, certa della riconferma, e il nuovo presidente francese avranno la forza per costruire l’Ue del dopo-Brexit.
La scheda
IL PIÙ CONTENTO di tutti, intanto, è Paolo Gentiloni: il premier italiano è l’unico capo di governo citato per nome nel discorso di Juncker, perché “l’Italia sta salvando l’onore dell’Europa” sulla questione migranti. E il sottinteso è che altri – soprattutto la Polonia, l’Ungheria e i Paesi dell’Est che non vogliono rifugiati – stanno invece disonorando il continente.
A parte i duelli con le multinazionali americane tipo Google sui dossier antitrust, la Commissione Juncker ha cercato di compensare la sua perdita di peso politico (comanda solo il Consiglio, cioè i governi nazionali) evolvendosi in una specie di enorme think tank, un pensatoio che elabora idee sul futuro dell’Unione per conto dei governi. Cui spetta la decisione. E Juncker di idee ne presenta parecchie. L’ap-
LA NUOVA Unione europea delineata ieri dal presidente della Commissione Jean Claude Juncker dovrebbe essere pronta per il primo vertice davvero a 27 che si terrà il 30 marzo 2019 a Sibiu, in Romania, un giorno dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione al termine del negoziato biennale. Tre mesi dopo ci saranno le elezioni europee Mediterraneo Gentiloni è l’unico leader citato per nome, ma sui migranti poche promesse
proccio di fondo è il contrario di quello che piace a molti leader oggi: nessuna Europa a più velocità, nessun nocciolo duro costruito intorno all’euro (è un’idea che gira molto in Francia, sostenuta dall’economista Thomas Piketty, quella di creare un budget e un Parlamento per la sola eurozona). Juncker vuole una Europa più forte e più politica: con un ministro delle Finanze che sia anche vicepresidente della Commissione e a capo dell’Eurogruppo, il coordinamento dei Paesi dell’euro, una figura che sarebbe finalmente il contraltare politico del presidente della Bce, che ha un profilo tecnico. L’idea è partita dai governatori delle Ban- che centrali di Francia e Germania, dopo il voto tedesco si capirà quanto è fattibile.
Anche l’euro, che tanto ha vacillato in questi anni, va rilanciato: non solo col ministro delle Finanze, ma anche con uno “strumento di accesso” che stimoli l’ingresso di nuovi membri, pure l’Unio ne bancaria è in cerca di adesioni ulteriori. Niente doppie velocità, o si avanza tutti in- sieme o niente. E il presidente della Commissione e quello del Consiglio, in prospettiva, devono diventare una persona sola: un vero presidente europeo legittimato dal Parlamento. Scelto con il sistema degli Sp i tz e n ka n di d at e n , lo schema del 2014 (che ha portato alla scelta di Juncker) in base al quale i partiti europei indicano i loro candidati presidenti e poi il Consiglio deve dare l’incarico a chi arriva primo, invece che usare il proprio potere di scelta discrezionale, altrimenti il Parlamento negherà la fiducia.
JUNCKER SEMBRA considerare finita la minaccia populista ed euroscettica e rilancia su tutti i dossier che sono stati più divisivi in questi anni, quelli che nessun governo maneggia volentieri perché nel clima anti- global fanno perdere consensi: chiede al Consiglio il mandato per negoziare accordi commerciali con Nuova Zelanda e Australia sul modello di quei Ttip (Usa) e Ceta (Canada) che hanno creato tante polemiche e spinto la Commissione a cambiare molte delle sue posizioni. “Non siamo ingenui liberoscambisti”, assicura Juncker che promette ancora più trasparenza di quella che la Commissione ha dovuto accettare nel nego- ziato sul Ttip e sul Ceta sotto la pressione di un’opinione pubblica che non tollerava più il segreto sui negoziati commerciali (che pure c’era sempre stato in passato).
IL DOSSIER più urgente resta quello sui migranti: Juncker sottolinea che, dopo la chiusura della rotta balcanica, grazie all’accordo del 2016 con la Turchia, ora tutte le at- tenzioni sono rivolte al Mediterraneo, quindi alla Libia e all’Italia. La priorità ora è “migliorare urgentemente le condizioni di vita dei migranti in Libia, sono inorridito dalle situazioni inumane nei centri di detenzione o raccolta”. Una volta arginato il flusso, però, bisogna poi regolare i nuovi ingressi, perché “l’immigrazione regolare è una necessità”. Nessun accenno ai ricollocamenti di rifugiati dai Paesi di arrivo (Italia e Grecia), uno dei grandi flop della Commissione. La lista di Juncker è lunga. Quella di ciò che può fare da solo, aggirando il potere di veto degli Stati membri, è cortissima.