THEWINNERIS
LEI INVECE va in America. Ottiene una audizione al Met e però non la scritturano. Dovrebbe cantare in Turandot a Chicago nel 1947 e la compagnia si scioglie prima del debutto. Finalmente il contratto per l’Arena di Verona. È la Callas grassa e complessata degli inizi. La dirige il grande Tullio Serafin. Ha successo ma non sfonda. Allora lui – cresciuto alla Scala quale aiuto del severissimo Arturo Toscanini – alza il telefono e chiama un amico, Francesco Siciliani, consulente della Rai, direttore artistico del San Carlo e poi del Maggio Fiorentino. “S cu sa Francesco, vorrei che tu ascoltassi, prima che riparta in classe turistica per tornare a New York da una madre che detesta, questo soprano greco-americano che ha fatto Giocondaall’Arena. Per me ha un gran voce, una ‘vociaccia’ anzi”.
Siciliani – è lui che mi racconta tutto una sera a cena, quando è presidente di Santa Cecilia – accetta, incuriosito dalla “vociaccia”. “Si presenta da me questa giovane donna di 24 anni, grassissima, e mi canta un paio di arie, una dalla Gioconda e un’altra verista. Che non mi stravolgono. Allora le chiedo con chi abbia studiato canto ad Atene e lei mi risponde: ‘Elvira de Hidalgo’. Mi illumino: ‘Grande soprano di coloratura, allora conoscerà di sicuro il repertorio belcantistico italiano. ‘Ma certo. Le farò sentire dai Puritanidi Bellini Ah, rendetemi la speme....
Emiliani, io poso le mani sulla tastiera, lei comincia a cantare e gli occhi mi si riempiono all’istante di lacrime, non vedo più lo spartito, suono a memoria... Alla fine l’ho scritturata per otto opere!
Fra queste c’è per il Maggio Fiorentino quella Armida di Gioachino Rossini che non si dà da tempo. Un’opera origi- nalissima del Rossini serio, con la maga Armida, unica donna, circondata da sei tenori, e lei, la Maria, la canta splendidamente, con quella voce intensa, densa, scura nei bassi, che però nei filati diventa aerea, limpidissima”. D’Amore al dolce impero/Natura ognor soggiace./Dov’è quell'alma audace/Che non apprezzi Amor? Eseguito da lei, con potenza e agilità, suscita applausi interminabili. Maria tuttavia – ecco un’altra leggenda da sfatare – non nasce grande attrice. Sulla scena, agli inizi, è impacciata. Me ne dà testimonianza un giorno a Busseto – in giuria per il Premio Callas dedicato dalla Rai nel 2000 a voci verdiane – un grande mezzosoprano Fedora Barbieri, che tante volte è stata Adalgisa con Maria-Norma o Azucena con Maria-Leonora. Mi racconta
La regia Molto fa per lei Luchino Visconti che la dirige già dimagrita, bella e seduttiva, nella rivoluzionaria “Traviata” alla Scala nel 1955. Una “divina” imperdibile