Milano pigliatutto, a Torino restano solo i grissini (forse)
Persa la Fiat, in pericolo i Saloni del Libro e del Gusto, ora approda sotto la Mole il giornale meneghino che mai aveva “osato” avventurarsi oltre Ticino. E si rinnovano le tipiche litanie sabaude
Prima, nel 1864, ha perso il rango di capitale d’Italia, trasferita a Firenze. Poi, nel Novecento, ha visto consumarsi quello di capitale dell’auto e della Fiat, non per colpa degli stranieri ma in cagione degli stessi torinesi e della Fiat. Nel frattempo, agli inizi del 1900, ha ceduto lo scettro di capitale del cinema, traslocato a Roma, e nel dopoguerra, dopo il 1945, quello della moda, finito a Milano. Anche le due maggiori case editrici di cultura, l’Einaudi e la Bollati Boringhieri, hanno i proprietari oltre Ticino, per l’esattezza a Milano, tra la Mondadori e il Gruppo Editoriale Mauri-Spagnol.
Luoghi comuni, certo, come quelli su Torino città laboratorio d’Italia nel campo sociale e culturale, ma piuttosto veri. Come è vero che, negli anni Ottanta del secolo corso, la rivalità fra Torino e Milano avrebbe dovuto trasformarsi in un’alleanza strategica, che, ovviamente, naufragò subito. Più o meno capitava in concomitanza con il progetto della Tecnocity-Silicon Valley nazionale, con epicentro nella Olivetti di Ivrea, alle porte di Torino. Della Olivetti, oggi, non esiste più nemmeno il marchio. E di Tecnocity si è frantumata la memoria.
A fare quadrato intorno alla torinesità, e a parziale consolazione di tante perdite, erano rimasti i grissini e, dopo la morte della gloriosa Gazzetta del Popolo, il monopolio della grande informazione da parte di un unico giornale: La Stampa.
Avevano fatto quadrato un po’come era successo durante la battaglia risorgimentale di Custoza, il 24 giugno 1866, quando la fanteria italo-piemontese del principe Um- berto, a Villafranca, respinse compatta gli attacchi degli ulani e degli ussari austriaci. Quel quadrato di Villafranca che è mancato allorché la Fca, l’ex Fiat, ha deciso recentemente di portare via dalla città piemontese la direzione del gruppo.
GRISSINI E GIORNALI, allora. Ma i grissini, simbolo non solo culinario di Torino, adesso si possono trovare con etichette che li indicano prodotti e confezionati pure a Milano. E non va meglio per la carta stampata. Tra qualche tempo sbarcherà sotto la Mole il Corriere della Sera, con la sua edizione subalpina diretta da Umberto La Rocca. Molte volte annunciato, e tuttavia mai successo fino a questo momento, l’arrivo del giornalone meneghino andrà a minacciare ciò che resta del reame e del potere de La Stampa, il giornale per eccellenza dell’ex Fiat, seppure messi in discussione in loco dal popolaresco Cronaca Qui e dall’edizione locale de la Repubblica. Quest’ultima, però, ha già pagato un poco il dazio, almeno sul piano dell’immagine, della fusione dell’Editoriale Esp resso- Repubb lica con il gruppo di John Elkann che edita la vecchia “Busiarda”, la “Bugiarda”, come è chiamato in città il quotidiano della Fiat Chrysler Automobiles (Fca). Infatti la redazione torinese di “Rep” ha dovuto traslocare nella sede de La Stampa, ormai ex concorrente.
All’epoca de La Gazzetta del Popolo e degli anni d'oro de La Stampa, il “Corrierone” di via Solferino si era accontentato di aprire un ufficio di corrispondenza nella centrale via Roma. Ora, ironia della sorte, il Corriere della Sera versione subalpina si insedie- rà in Galleria San Federico, proprio dove una volta, fino agli anni Settanta, troneggiava la sede de La Stampa.
L’arrivo del Corriere della Serasegue l’affronto della nascita a Milano di un altro Salone del Libro.
Il Tempo di Libri della Fiera di Rho ancora non è riuscito perfettamente, ma è pronto al rilancio e a una prevedibile collisione con la Librolandia sulle rive del Po.
Così l’ex capitale d’Italia e dell’auto registrerà tra breve l’ennesima lamentazione sugli scippi quasi sempre da parte degli ambrosiani; sarà scritto, dunque, l’ultimo capitolo della annosa competizione con Milano. Lo farà, tuttavia, sotto il segno del paradosso: l’azionista principale del Corriere della Seraè l’alessandrino Urbano Cairo. Piemontese, eccome, e soprattutto padrone del Football Club Torino, di quel“Toro ”, insomma, la cui vera e operativa sede sociale il buon Cairo ha sempre tenuto a Milano.
Solamente in un caso, nel corso della storia unitaria, Torino era riuscita a impadronirsi di qualcosa di milanese, anzi: di Milano. Accadde nel marzo del 1848, quando le truppe sardo-piemontesi di re Carlo Alberto entrarono nella capitale del Lombardo-Veneto che si era ribellata, in marzo, agli austriaci. I milanesi avevano fatto le Cinque Giornate; i sabaudi fecero il governo, che durò pochissimo per la sconfitta di Novara e per il ritorno degli austriaci.
SCRIVERÀ il patriota Felice Orsini, l’attentatore di Napoleone III, nelle sue Memore politiche: “E così all'alba del quinto dì combattimento, gli aderenti di Carlo Alberto giacevansi in seggio governativo, e le persone del popolano e dell’ardente giovane mietute a pro di una causa, che fi- niva per essere quella della moderazione e della monarchia”.
Se Torino non è più capitale di niente (si teme, a torto o a ragione, una possibile partenza verso Milano del Salone del Gusto), i torinesi, o almeno qualcuno tra loro, si nutrono di nostalgia.
Nelle vetrine di alcune boutique cittadine, come in via Cavour, fanno bello sfoggio le camicie in denim sul modello di quelle che indossava l’avvocato Gianni Agnelli. L’idea pare sia venuta al nipote Lapo Elkann: costano 140 euro. Sono comunque confezionate in Lombardia, nella Bergamasca, e anche Lapo, poi, da tempo vive a Milano. Sempre sul “coté” della nostalgia, è in lavorazione un film su Edoardo Agnelli, il figlio dell’Avvocato morto nel novembre del 2000. Scampoli, questi, di un tempo irrimediabilmente perduto.
REDAZIONE IN GALLERIA SAN FEDERICO Ironia della sorte, il dorso di via Solferino si accasa allo stesso indirizzo dove, fino agli Anni 70, c’era “La Stampa”
NEPPURE UN’IDEA DI LAPO ELKANN Perfino le camicie in denim dell’Avvocato in mostra in vetrina a via Cavour sono confezionate in Lombardia