Anatomia di un disastro: lo sfogo femminista di Hillary
ENata a Chicago (1947), è il volto femminile della politica Usa, di cui è protagonista dal 2001 (senatrice dem fino al 2009 e segretario di Stato con Obama finoal 2013). È stata sconfitta da Trump nelle elezioni presidenziali del 2016. Nel ‘75 ha cambiato il nome da nubile, Hillary Rodham, dopo il matrimonio con Bill Clinton cco l’autopsia d’una sconfitta: a firma della stessa protagonista del disastro. Esce What Happened, “Cosa è successo”, il memoir nel quale Hillary Clinton racconta, dal suo punto di vista, la campagna elettorale culminata nella disfatta andata in scena la sera in cui pronunciò il discorso col quale, a dispetto dei 3 milioni di voti in più, ha concesso la Casa Bianca a Donald Trump. In passato Hillary aveva scritto altri libri dai riflessi biografici ( Living HistoryeHard Choices), ben diversi da questo: quelli erano mattoni d’una costruzione in corso, passaggi necessari nell’edificazione di una personalità pubblica, intagliati al fine d’accrescere la sua credibilità, anche scrivendo banalità del genere “Nel mondo di domani, o progrediremo tutti insieme o non progrediremo”. Adesso per Hillary è il momento di cambiare registro, di parlare senza riguardi e di mostrarsi per ciò che veramente è. Con tutta la rabbia, il dolore, lo stupore del caso, ma anche con l’umanità d’una personalità complicata come la sua, al cospetto della più inattesa delle delusioni, percepita con un insopprimibile senso di ingiustizia e nemmeno paragonabile all’altra grande occasione perduta, quando nel 2008 era stato Barack Obama a metterla al tappeto alle Primarie. Forse anche per questo What Happened è cosparso di punti esclamativi, di deviazioni dal sentiero principale, di dissertazioni su ciò che s’agitava nella sua testa mentre la realtà preparava uno scenario che non riusciva a presagire. “Chiunque leggerà questo libro non perderà mai un’elezione presidenziale”, scrive, con l’ironia che punteggia tutto il saggio e con uno slancio d’onestà da parte di un personaggio a lungo malvisto proprio per l’ipotizzata insincerità. “Ora io abbasso la guardia” premette Hillary, inoltrandosi nel racconto nero di come si sia sgretolata un’ar chitet tura politica pronta a essere ina-
Biografia HILARY CLINTON
gurata e di come ci si senta dopo, quando la fatalità ha preso forma e somiglia a un mostro alla cui ombra si trascorrerà il resto della vita.
Il rosario è noto: colpa dei media ostili, colpa di Bernie Sanders, colpa di Putin, colpa dell’ex-capo dell’Fbi James Comey. Colpa di quel tipo bizzarro coi capelli arancione: “Se metti insieme il tempo che Trump passa a giocare a golf, quello in cui twitta e quello in cui guarda Fox News, cosa avanza?”. Ma alla fine il famoso soffitto di cristallo che lei sembrava predestinata a sfondare, prima donna pronta a entrare alla Casa Bianca, è rimasto al suo posto. E What Happened è anche un saggio di riflessivo ma solenne femminismo e un ragionamento sui limiti che la democrazia, anche in America, continua ad avere: “Ho condotto una campagna elettorale basata su politiche attentamente preparate e so- stenuta da coalizioni edificate tra mille difficoltà, mentre Trump l’ha presa come un reality show nel quale non ha fatto altro che eccitare lo scontento e il risentimento degli americani”.
Consumato l’orrore del 6 novembre, Hillary è tornata a casa, ha fatto molte passeggiate, bevuto tanto chardonay con Bill, praticato lo yoga e rinunciato a fare ciò che tutti le consigliavano: imbottirsi di Xanax per vedere il mondo un po’ più in rosa. Invece, da vecchia secchiona, ha scritto in fretta e con furia questo libro. Che è un caso unico nel genere, perché non è il r es um é d’una campagna d’insuccesso, ma (nelle parti migliori) è il flusso di coscienza di una persona matura e acuta, votata alla politica, ma con un’ispirazione particolare: la consapevolezza d’essere una donna in un mondo dominato dagli uomini. Sospinta dal sogno di arrivare in cima a quella congrega di potenti, combattendoli sul loro stesso campo. “Per la cronaca: essere fatta a pezzi fa male” scrive ora, non nascondendo la sofferenza dietro l’alibi della dignità.
Hillary sostiene d’aver capito di non essere stata scelta prima di tutto perché donna. La cosa l’ha straziata. Almeno quanto vedere Trump al suo posto: “Non solo apprezza Putin. Lui vuole essere Putin: un leader bianco autoritario, che reprime le minoranze, delegittima gli oppositori, indebolisce la stampa, e ammassa miliardi per se stesso. Il suo sogno è una Mosca sul Potomac”. Concludendo malinconicamente: “È segno che ancora non siamo arrivati dove pensavo”. Che subito sdrammatizza citando un motto – “ciò che non ci uccide ci rende più forti” – che è indecisa se attribuire a Friedrich Niet- zsche o alla popstar Kelly Clarkson. “Ci sono stati giorni in cui volevo solo urlare nel cuscino”, annota senza pudore. Difficile non apprezzare questa sua voglia di mettersi a nudo, perfino immedesimandosi un po’. C’è quell’aneddoto sul giorno in cui, nel 1984, Walter Mondale, appena sconfitto da Ronald Reagan, incontrò George McGovern, che era stato sconfitto da Richard Nixon nel lontano 1972, e gli chiese cameratescamente: “Quanto ci vuole perché smetta di bruciare?”. “Quando succederà, te lo farò sapere”, gli rispose il compare di sventura. Oggi Hillary confessa: “Lo so che sarebbe stato opportuno restare in silenzio. Ma dentro di me sto andando a fuoco”. Tutto ciò, ovviamente, non fa che aumentare alcuni rimpianti nei suoi confronti. E questa, forse, è la sua unica rivincita possibile.
Lo so che sarebbe stato opportuno restare in silenzio. Ma dentro di me sto andando a fuoco