Il Fatto Quotidiano

Quelli che “mio figlio è avanti, sembra più grande dei coetanei”

IMPAZIENZA Appena nati la gara è sul peso: l’annuncio di chili, etti e briciole è una sorta di dichiarazi­one di guerra al mondo accompagna­to da un bel sorrisetto di soddisfazi­one

- » ALESSANDRO FERRUCCI

L’educazione parte da bambini, si sa, così come le emozioni, il non detto, la trasmissio­ne delle nostre speranze, rivincite, timori, proiezioni; tutto attraverso i nostri figli. Si inizia da subito. Appena nati la gara è sul peso, l’annuncio di chili, etti e briciole è una sorta di dichiarazi­one di guerra verso il mondo, il massimo è quando il pargolo sfiora i quattro chili e poi a salire. E allora si certifica anche la distruzion­e, con l’orgoglio, dell’eroica mamma in grado di sopportare stoicament­e il vitello e addirittur­a di partorire.

MA SIAMO all’inizio. I mesi successivi sono un match nei confronti delle aziende produttric­i di vestitini: sono loro il parametro, sono loro il primo metro verso la certificaz­ione del prodigio-alias-figlio. Se uno domanda a un genitore quanto ha il bambino-bambina, la risposta dei mesi seguirà sempre un successivo e inevitabil­e “però”, accompagna­to da un sorrisetto di enorme soddisfazi­one, delle serie: bravo ad avermelo chiesto. Dialogo ipotetico-reale. “Che bella piccolina, quanto ha?”.

“Francesca ha tre mesi, però già indossa i vestitini per i quelli di sei mesi”.

“Davvero? Eh, ma è proprio grande...”.

Altro sorrisetto, carezza della mamma sulla fronte, veloce sistematin­a del vestitino, il tutto con un sottinteso: mia figlia è lunga o grossa, mentre gli altri sono piccoli o troppo magri; altro sottinteso: mia figlia è in vantaggio rispetto alla maggior parte dei suoi coetanei.

Sempre avanti, l’oggi non interessa, la gara è da subito, il paragone perenne, l’attesa va superata, surclassat­a, lacerata; bisogna camminare prima di aver compiuto un anno, conoscere il Devoto Oli entro i tre, calciare un pallone d’esterno il prima possibile; lamentarsi se nostro figlio sta troppo con il cellulare in mano (“p er ò quanto è bravo, apre Youtube da solo”). E poi? E poi scatta l’inverso.

BI SOG NA lamentarsi se è cresciuto troppo in fretta, se ha atteggiame­nti da adulto-adulta, quando non lo è, se usa i trucchi quando ha 10 anni, se pretende i buchi alle orecchie, se gioca troppo a pallone anche se calcia (sempre) d’esterno; se ha 10 anni ma indossa vestiti dei quindicenn­i, questione di pancia abbondante.

E poi? Scatta la frustrazio­ne, non ci si vanta più del proprio eroe, si nasconde, “non capisco proprio da chi ha preso”, magari si guardano i nuovi reality, quelli che insegnano a educare, insegnano a dimagrire, insegnano ad accettarsi, insegnano a ricostruir­e i rapporti tra genitori e figli; insegnano a mangiare.

E poi? Ti dicono di aspettare, che il momento critico dura fino a poco dopo i vent’anni, e tutto piano piano si ristabilis­ce, magari verso i 30 l’eroe che pesava quasi quattro chili alla nascita, avrà un figlio, pure lui sfoggerà quasi 4 chili, e allora il cerchio si chiuderà e il birbante sarà “tutto suo padre” o “tutto sua madre”...

Twitter: @A_Ferrucci

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