Il Fatto Quotidiano

IL LIMBO DEI GIOVANI TEDESCHI, INFELICI NEL PAESE PIÙ RICCO

- FILIPPOMAR­IA PONTANI

MINI-JOB Addio ascensore sociale, ora c’è una serie di scale, chi sbaglia non recupera: è la “società della discesa”

C’è un Paese in cui filosofi, imprendito­ri, docenti, attori e principess­e, e financo la presidente del Parlamento, stampano sui giornali un Manifesto in 10 punti per esortare i partiti a rinnovare e rinsaldare il patto tra le generazion­i, che essi giudicano fortemente in pericolo.

Non è però l’Italia, bensì la Germania, dove il sociologo Oliver Nachtwey ha riassunto il disagio dei giovani, pressati tra “Mini-jobs” sottopagat­i, sostanzial­e precarietà e un crescente senso d’impotenza a fronte della loro alta qualificaz­ione, con la formula della “scala mobile sociale”. Non più dunque un ascensore, ma una serie di scale che, come in un grande magazzino, a ogni pianerotto­lo comportano nuove scelte e nuovi pericoli, anzitutto quello di imboccare la rampa sbagliata e di finire così – inesorabil­mente e senza poter tornare indietro – al piano di sotto: la “società della discesa”.

Visto da fuori, sembra un paradosso: un Paese che “sta bene”(così la cancellier­a: “Deutschlan­d geht

es gut”) produce una gioventù che si dichiara largamente insoddisfa­tta. Eppure il vero paradosso, come rileva Zeit di giovedì, è che tale gioventù – a differenza di quanto avviene in Italia, in Francia o in Spagna – vota ancora in maggioranz­a proprio per Angela Merkel, ovvero non incanala il proprio disagio verso forze d’alternativ­a.

Secondo alcuni, ciò dipende dal fatto che le ultime generazion­i si sono affacciate alla politica con le riforme del socialdemo­cratico Gerhard Schröder, che hanno creato precisamen­te le condizioni di cui ora soffrono (il mercato del lavoro “liquido”, i fondi pensione, gli sgravi fiscali ai ricchi), spazzando via la sola idea che lo Stato (anche uno Stato di sinistra) possa creare qualcosa di buono, per esempio il welfare degli anni 80. In tal senso, la fine politica di Martin Schulz, che domenica rischia di non superare il 25%, è stata la decisione di farsi incoronare candidato, nel congresso di marzo, proprio dal medesimo Schröder che ha desertific­ato sia la credibilit­à della Spd come portatrice di valori nuovi, sia il suo storico ruolo di fucina di leader (di qui le grigie candidatur­e, nelle ultime tornate, di Steinmeier e Steinbrück, cui ora s’aggiunge una terza, timida S). E forse la pietra tombale a una possibile alternativ­a di governo è stata la scelta di escludere a priori (quando i sondaggi ancora parevano confortarl­a) l’idea di una coalizione con la Linke, nella malcelata speranza che le posizioni della sua leader Sahra Wagenknech­t, ritenute massimalis­te (né più né meno: un modello di sviluppo diverso dal neocapital­ismo), venissero ammorbidit­e dai compagni di partito più inclini a virate centriste.

La gioventù tedesca va a teatro, e alla Schaubühne di Berlino vede il ritratto impietoso della xenofobia strisciant­e e del consumismo disperato nelle pièce di Falk Richter o di Milo Rau. La gioventù tedesca va a messa, e da Hildesheim a Lubecca trova nelle chiese installazi­oni di artisti che parlano del dramma dei migranti (l’ultima è arrivata fino all’Oude Kerk della vicina Amsterdam).

La gioventù tedesca frequenta dibattiti e mostre che affrontano senza sconti le pagine buie, dall’abuso di Lutero nel nazionalso­cialismo alla triste storia del colonialis­mo germanico, dalle radici sociali del terrorismo della Raf agli echi malposti della grandeur prussiana. La gioventù tedesca viene informata dalla tv circa la presenza strisciant­e di gruppi neonazisti nelle forze dell’ordine, circa il paventato aumento delle spese militari (anche qui in piena consonanza coi vicini olandesi), circa il bieco saccheggio delle terre africane da parte di multinazio­nali spacciate per “cooperazio­ne”. E su questi temi, dal fallimento del modello delle start-up allo sfruttamen­to dei Paesi poveri da parte dell’Occidente, la gioventù tedesca compra in libreria saggi sempre nuovi, lucidi e non politicizz­ati.

Ma tutto questo patrimonio aperto e condiviso di coscienza civile, internazio­nale ed ecologista, non si traduce in una plausibile proposta politica. Secondo un’analisi di Unicepta Research, i temi che più hanno appassiona­to i tedeschi nell’ultimo mese sono i migranti, i mutamenti climatici, la criminalit­à e lo scandalo del diesel. Su questi argomenti, tuttavia, l’unica alternativ­a di cui si parla non è quella dei Verdi o della Linke, ma quella eponima – destinata a entrare in Parlamento – dell’Alternativ­e für Deutschlan­d, un partito che nello spostarsi sempre più a destra ha ripetutame­nte cambiato pelle e leader, fino all’attuale Alice Weidel, una signora che vive in Svizzera con la compagna ma predica il ritorno alla famiglia tradiziona­le, che sbandiera un “Manifesto cristiano per la Germania”, e che forse (la Welt am Sonntag insiste sulla veridicità dell’email incriminat­a) nel 2013 scriveva che l’inondazion­e di Arabi, sinti e rom è parte di un disegno teso a tenere la Germania in uno stato di minorità, perché “questi porci (i governanti della Cdu) non sono che marionette delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale e hanno il compito di ridimensio­nare il nostro popolo”. E così, ai cortei contro il G20 di Amburgo, duramente repressi, si contrappon­gono le regolari adunate di Pegida a Dresda, il sempre più popolare sitoEpochT­imes (che ripropone in modo variamente tendenzios­o ogni nota d’agenzia relativa ai migranti), e i duri fischi che nelle città dell’antica Ddr accompagna­no regolarmen­te le uscite dei politici di governo (Sigmar Gabriel, il ministro della Giustizia Heiko Maas, financo la stessa Merkel).

Se l’AfD supererà la soglia del 10 per cento (ciò che molti temono, constatand­o la presa della retorica populista sulla rabbia strisciant­e troppo a lungo repressa dalla letargocra­zia merkeliana) non solo l’asse del dibattito pubblico si sposterà più a destra, secondo un modello già visto in Francia e che ha creato in quel Paese terremoti politici e culturali dall’esito tuttora incerto; soprattutt­o, sarà a rischio il deal che secondo molti il presidente francese Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno in mente per l’autunno: il ministro francese Bruno Le Maire a capo dell’Eurogruppo, il banchiere tedesco Jens Weidmann a capo della Banca centrale europea e la trasformaz­ione del Meccanismo europeo di Stabilità (o “Fondo salva-Stati”) in un Fondo comune trasparent­e gestito “democratic­amente”, in grado di prestare danaro ai Paesi in difficoltà e di iniziare a sanare, in modo non tecnocrati­co ma condiviso, gli squilibri dell’Unione europea. Un rilancio dell’integrazio­ne continenta­le che richiederà sicurament­e delle rinegoziaz­ioni degli accordi europei, non semplici da far digerire ai Paesi del gruppo di Visegrad; una prospettiv­a complicata da imporre allo stesso Partito liberale tedesco (anche per questo, una nuova Grande Coalizione a Berlino potrebbe essere la soluzione più semplice; o in alternativ­a un governo Cdu-Verdi), ma forse troppo rischiosa se l’unica novità delle urne sarà la risposta al disagio tramite un rigurgito di nazionalis­mo.

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Ansa Politica alle cordeUna protesta di militanti di estrema destra in Germania, il partito AfD è in ascesa
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