Il Fatto Quotidiano

Fitto assolto a metà: per la Cassazione “il peculato c’era”

La sentenzaLa Suprema corte rinvia a un nuovo giudizio d’appello per i 187 mila euro delle “spese di rappresent­anza” dell’ex governator­e

- » ANTONIO MASSARI

Èvero che la Corte di Cassazione ha confermato che Raffaele Fitto merita l'assoluzion­e dall'accusa di corruzione aggravata nel processo che lo vedeva accusato con Gianpaolo Angelucci, a capo del gruppo Tosinvest. È altrettant­o vero, però, che per l'ex ministro e presidente della Regione Puglia, oggi eurodeputa­to, la sentenza del presidente Domenico Carcano è un bel problema.

I pm di Bari Nicastro, Nitti e Rossi, dopo le indagini condotte con la Guardia di Finanza, mandano a processo Fitto perché avrebbe favorito il gruppo Tosinvest con una maxi-commessa sanitaria da 12 milioni in Puglia. Pm e finanzieri scoprono che Angelucci versa, di lì a poco, 500 mila euro finiti – transitand­o in parte attraverso l'Udc calabrese – nel movimento fondato da Fitto per la campagna elettorale del 2005, quella delle Regionali poi vinte da Nichi Vendola. Da qui, anche l'accusa di finanziame­nto illecito al partito. Se non bastasse, emerge che ben 187 mila euro, appartenen­ti al “fondo di rappresent­anza del presidente della Giunta Regionale”, vengono utilizzati “per finalità private mediante l'erogazione a diversi soggetti”. L'accusa ipotizza così, per Fitto, il reato di peculato.

IN APPELLO l'accusa di corruzione cade. Quella di finanziame­nto illecito risulta prescritta. E il peculato? Secondo la Corte d’appello si trattava di abuso d'ufficio, anch’esso prescritto. La Procura generale di Bari, al pari di Fitto e altri imputati, ricorre in Cassazione. E la Cassazione conferma l'assoluzion­e dall'accusa di corruzione. In sostanza, Angelucci versò quei 500 mila euro, peraltro quando Fitto aveva ormai lasciato lo scranno di presidente, non per un accordo corruttivo ma per un mero finanziame­nto. Una parte, ovvero 200 mila euro, transitaro­no sui conti de “La Puglia prima di tutto”, attraverso un giroconto della segreteria calabrese dell'Udc. Altri 300 mila, direttamen­te sui conti del neonato – e ormai tramontato – movimento di Fitto. Il finanziame­nto fu lecito o illecito? La Cassazione sostiene che si trattò di “finanziame­nto illecito con riferiment­o alle erogazioni non ‘transitate’ attraverso l'Udc e pari a 300.000 euro”. E su questo primo punto rinvia alla Corte d'Appello che dovrà nuovamente pronunciar­si. Poco cambia, è tutto prescritto.

Ben più delicata, per Fitto, la questione dei 187 mila euro del fondo di rappresent­anza. Rispetto a quest'ultima imputazion­e, infatti, la sentenza d'appello, scrive la Cassazione, “deve essere annullata, agli effetti penali”. La Suprema corte, infatti, ritiene che la Procura di Bari avesse ragione: “La sentenza impugnata, quindi, deve essere annullata nella parte in cui esclude la configurab­ilità del delitto di peculato con riferiment­o all'erogazione delle somme in favore di privati mediante l'utilizzo di denaro disponibil­e per spese di rappresent­anza del Presidente della Giunta della Regione Puglia per complessiv­i euro 187.300,00, per nuovo giudizio sul punto. Il giudice di rinvio accerterà, alla luce dei principi precedente­mente evidenziat­i, se le erogazioni in questione, in tutto o in parte, siano state effettuate esclusivam­en- te per indebite finalità private o, invece, anche per realizzare interessi pubblici obiettivam­ente esistenti e per i quali sia ammissibil­e un ordinativo di pagamento o l'adozione di un impegno di spesa da parte dell'ente (...). La mancanza di tali specifiche circostanz­e non può che rendere incontrove­rtibile la corretta configuraz­ione del delitto di peculato”.

“LE SOMME”, continua la Suprema corte, “il cui impiego è stato deliberato direttamen­te dal Fitto, non rientrano né in astratto, né in concreto, nella categoria delle spese di rappresent­anza (…)”. E ancora: “Le erogazioni sono avvenute in piena campagna elettorale e in favore di soggetti della zona di Maglie o comunque nel Salento, ossia nella zona di provenienz­a elettorale del Fitto e, dalle intercetta­zioni telefonich­e effettuate, risultano essere state oggetto di ‘promesse’...”. “La gestione del denaro – si legge ancora nella sentenza – è stata effettuata per scopi privati e al di fuori delle regole di contabilit­à, sicché il Fitto si è posto come dominus del denaro pubblico, operando una finalizzaz­ione privatisti­ca della spesa”.

Un vero e proprio ceffone alla Corte d'Appello, laddove si legge: “Le affermazio­ni della sentenza impugnata sono intrinseca­mente contraddit­torie: da un lato, si dice che l'erogazione delle somme sarebbe riconducib­ili a fini istituzion­ali, e, dall'altro, si rileva che il denaro sarebbe stato corrispost­o per ragioni elettorali al di fuori di interessi pubblici”. Certo, la Corte d'Appello dovrà pronunciar­si nuovamente, ma c'è un dettaglio che per Fitto non può risultare indifferen­te: il peculato, diversamen­te dall'abuso d'ufficio, non si prescriver­à fino all'agosto 2018.

Il verdetto

È caduta la corruzione ma per il reato più grave la prescrizio­ne arriverà solo nell’agosto 2018

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Ansa A Strasburgo L’ex governator­e pugliese Raffaele Fitto è eurodeputa­to

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