Il Fatto Quotidiano

Vedi Agadez e poi muori: addio alla perla del Tenerè

Il declino La città con la moschea patrimonio dell’Unesco è al collasso, in periferia restano i campi dei profughi che hanno rinunciato al viaggio

- P. C. Agadez (Niger)

“C’è un errore nel visto, il tuo viaggio finisce qu i”. Il tono dell’ufficiale di polizia al posto di blocco appena fuori Abalak, un filo tirato a sbarrare i transiti, non promette nulla di buono. Quando tutto sembra volgere al peggio, con il sole che brucia i vestiti addosso, una mancetta risolve l’impasse. Paese che vai, corruzione che trovi. Ai migranti in transito in Niger, lungo l’unica strada che sale verso nord-est e la frontiera libica, continua ad andare peggio. Il ‘pizzo’è quasi d’ufficio, 10 mila Cfa (13-14 euro; il franco è una moneta utilizzata in molti Paesi africani francofoni; Cfa, colonie francesi africane) a ogni posto di blocco.

PER LORO il peggio è oltre Agadez, tra le dune di sabbia mortali e il rischio di essere fermati e arrestati dalle autorità libiche. Certo, adesso i transiti verso nord sono fortemente diminuiti dopo che l’Europa ha mostrato i muscoli: stop ai barconi nel mar Mediterran­eo, accordi con capi-tribù, tutt’altro che stinchi di santo, anche nel sud della Libia. Da pochi giorni la frontiera tra Niger e Libia è ufficialme­nte sigillata in entrata; nessun problema per chi esce dall’ex dominio di Muhammar Gheddafi, tornando nel cuore dell’Africa nera e abbandonan­do il sogno di un futuro migliore nell’opulenta Europa: “Sono stato arrestato e chiuso in prigione a Sabha per 8 mesi dove ho subìto torture durissime. Scariche elettriche sui piedi e sotto le ascelle, usato come uno schiavo, ho lavorato senza essere pagato, sofferto la fame. Volevo arrivare a Tripoli per salire su un barcone, ma non avevo più soldi. Quando ho saputo che in Niger mi avrebbero aiutato a tornare a casa, ho chiamato i miei genitori. Il tempo di fare i documenti e partirò verso la frontiera nigeriana, verso casa”.

Ernest Omereke Chemizio ha 22 anni e aspetta il suo turno all’interno del centro di transito di migranti curato dall’Oim, l’agenzia dell’Onu che si occupa di migranti, alla periferia sud di Agadez. Di centri di questo tipo l’Oim ne gestisce altri quattro in Niger.

Oggi qui dentro sono in 234, tra cui 25 donne e undici minori, in rappresent­anza di sedici nazionalit­à. Transiti frequenti, molti tornano nei loro Paesi, di altri si perdono le tracce. L’Oim fornisce supporto soprattutt­o a chi rientra a sud con le ossa rotte e la p- siche danneggiat­a da esperienza inenarrabi­li nell’inferno libico. Cure, pasti e alloggio, ma soprattutt­o un ‘ l ascia-passare’, per il ritorno a casa. Gli anglofoni da una parte, i francofoni dall’altra: “Le ho provate tutte, prima a Ceuta (una delle due enclave spagnole nel nord del Marocco, ndr), poi in Libia. Ho colleziona­to sei arresti. Ne ho abbastanza, adesso torno a casa”. Aliou Badara Diatta è senegalese della regione meridional­e Casamance, ha 28 anni ed esperienza da vendere: “P er due volte ero riuscito a saltare sopra quei barconi, altrettant­e siamo stati fermati e ripor- tati in carcere. Sono il figlio più grande di sette, la famiglia contava molto su di me, adesso mi riaccoglie­rà”.

DA TAHOUA ad Agadez, circa 400 chilometri, la strada dimentica di essere tale e si trasforma in una pista buona per i fuoristrad­a. Il rischio di un incidente dietro ogni insidia. Per coprire un chilometro servono cinque minuti, i tempi di percorrenz­a lievitano. Il bus della linea Rimbo è gonfio come un uovo, cinque posti per fila, donne e bambini, neonati, bagagli ovunque: “È incredibil­e, da cinquant’anni il governo non è stato in grado di mettere a posto questa strada – Agali, guida turistica Tuareg di rientro da Niamey, ha un diavolo per capello – un tempo per coprire questa distanza ci si impiegava meno di dieci ore, oggi ne servono il doppio. Stanno cercando di sfinire i Tuareg, la cultura, le tradizioni; poi non si lamentino delle ribellioni. Quassù non c’è più lavoro, non c’è futuro, ma noi non scappiamo”.

In effetti i fasti di Agadez sono lontani. Meta e base turistica per scoprire le meraviglie dei monti dell’Air, la sabbia dorata del Tenerè; essa stessa città-simbolo, la Timbuctù nigerina, con il minareto della meraviglio­sa moschea in argilla, patrimonio Unesco, il vecchio quartiere dove perdersi alla ricerca di un angolo di ombra o della bottega di un artigiano. Elettricit­à a singhiozzo, ristoranti ed alberghi desolatame­nte vuoti, il 90% delle agenzie di viaggi per le escursioni ha chiuso. A cascata gli effetti per l’indotto sono devastanti. Da queste parti, ormai da anni, non passa più neppure la tappa ‘ammiraglia’della Parigi-Dakar; prima al Qaeda, poi la nuova rivolta Tuareg, infine le derivazion­i africane del Califfato.

Mezzanotte passata. Il torpedone partito alle 14,30 del giorno precedente dalla capitale, Niamey, lontana quasi mille chilometri, si avvicina ad Agadez. L’autista, stanco come tutti, valuta male un’asperità della strada e pensando di evitare una buca finisce dentro una voragine, spaccando l’ammortizza­tore della ruota anteriore sinistra. Nel silenzio del deserto, iniziano le lunghe manovre di riparazion­e.

Sono stato arrestato e torturato Volevo arrivare a Tripoli e salire su un barcone ma non avevo più soldi: in Niger mi aiuteranno a tornare a casa

ERNEST CHEMIZIO

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Il presidente Mahamadou Issofou e la Moschea di Agadez
LaPresse Simboli Il presidente Mahamadou Issofou e la Moschea di Agadez
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