Noi scrittrici? Sì, di romanzi d’amore (al massimo)
Il rapporto tra lettori e autrici
Premetto che faccio un mestiere che, quando menzionato, sortisce molteplici interrogativi e pretende un sacco di spiegazioni. Se lavori in banca, o in un negozio, o in una scuola la cosa finisce lì, se invece di mestiere fai “lo scrittore”, ecco che scateni immediatamente nel tuo interlocutore una curiosità morbosa che genera una raffica di domande tutte neanche troppo velatamente tendenziose che spaziano dal “come ci sei riuscita?” (leggi: hai frequentato la Holden? Te l’ha scritto qualcuno? Ti sei autopubblicata?) al come ci sei arrivata? (sei figlia di? L’hai data a?) passando per “certo ci sono più scrittori che lettori” (leggi: non te la tirare) che sono il preludio al gran finale: “Ma ci
DOMANDE-TIPO “Come ci sei riuscita?” (leggi: te l’ha scritto qualcuno?) Come ci sei arrivata? (l’hai data a...). “Ma ci si vive?” (quanto guadagni?)
Il libro
more perché parlo di vita.
Ma come fai a rispondere sciorinando un pippone simile?
Puoi forse dire: “Scrivo storie di vita?” senza essere tacciata da snob, e radical chic?
E quindi mi guardo i piedi e annuisco.
Sì, scrivo romanzi d’amore. Dico quasi scusandomi.
Perché sono troppo scoraggiata e stanca per rispondere che ogni storia, anche quelle di guerra, di strategie, di camorra, e le saghe fantasy parlano d’amore.
Tutte le storie parlano d’amore.
Ma quelle le scrivono gli uomini.