Il Fatto Quotidiano

“Mattarella doveva dire: non firmo leggi elettorali alla vigilia del voto”

Gustavo Zagrebelsk­y “I partiti studiano i sistemi di voto per regolare i conti tra di loro: i cittadini sono trattati come pedine”

- » SILVIA TRUZZI

Se questa fosse un’operetta morale, potrebbe intitolars­i Dialogo tra un realista e un utopista. Ma con Gustavo Zagrebelsk­y stiamo per parlare di temi assai prosaici, e non è il caso di scomodare Leopardi, anche se quel “Piangi che ne hai ben donde Italia mia” potrebbe fare al caso nostro. Professore, ha recentemen­te detto che non ne può più di sentir parlare di legge elettorale. Prima del referendum, aveva detto la stessa cosa delle riforme costituzio­nali...

È vero. Durante l’ennesimo dibattito alla vigilia del 4 dicembre ricordo che cominciai dicendo: ‘Non ne posso più’, suscitando un applauso. Evidenteme­nte, gli infi nitidiscor­si su‘ le regole’ hanno stancato.

La legge elettorale è lo specchio della democrazia. Tra le leggi ordinarie, ha detto Carlo Smuraglia, la più vicina alla Costituzio­ne.

Sì. Dovrebbe essere quella più vicina ai diritti politici dei cittadini. La legge elettorale crea, modella l’elettore, gli dà o gli toglie potere. Dovrebbe essere la sua legge. Invece da anni è trattata come la legge dei partiti. Serve a regolare i conti tra loro, ad accaparrar­si posti. Il risultato delle elezioni interessa meno perché i giochi si vogliono fare prima, con la legge elettorale. Si capisce, allora, l’estrema litigiosit­à e, al tempo stesso, il fastidio, anzi la nausea, dei cittadini che assistono al gioco dall’esterno.

Non le pare irrealisti­co che i partiti non pensino ai propri interessi?

Certamente. Quando i partiti scrivono la legge elettorale operano in causa propria e la posta, per loro, è grande.

Quindi li assolviamo?

Non si tratta né di assolverli, né di condannarl­i. Che ci sia sempre un retro-pensiero è inevitabil­e. C’è sempre stato. Manca quello che si chiama il “velo dell’ignoranza” circa i propri interessi immediati. Potendo fare calcoli, dell’interesse generale non importa a nessuno. Tutto si risolve in convenienz­e e compromess­i neppure dichiarati alla luce del sole. Ma ci sono i cittadini: per poco che si rendano conto di ciò che accade, si accorgono d’essere trattati come meri strumenti, come pedine della dama. Ecco: non popolo ma pedine.

È sano fare una legge elettorale alla vigilia delle urne? Per niente. Si dice sempre che se c’è una legge che dev’essere stabile è quella elettorale, proprio per evitare che si confezioni­no sistemi ad hoc. Esiste, per questo, un codice di buona condotta del Consiglio d’Europa, datato 2003, citato anche da una sentenza della Corte di Strasburgo, che dice che un anno prima delle elezioni non si devono fare leggi elettorali. Una ovvia regola prudenzial­e come è questa implica che ci sia qualcuno a vegliare sulla sua applicazio­ne.

Chi dovrebbe essere? Questo è il punto dolente. Non vedo facili rimedi. Immaginiam­o che si approvi una nuova legge elettorale in prossimità del voto e che questa legge sia incostituz­ionalissim­a, addirittur­a per contrasto evidente con i precedenti della Corte costituzio­nale. Le procedure non consentire­bbero di rivolgersi a essa in tempo utile. Si voterebbe con quella legge e le nuove Camere resterebbe­ro in carica tranquilla­mente, ma incostituz­ionalmente, in virtù del principio di continuità, già evocato in passato. Non ci si è resi conto per tempo di questa assurdità: la Corte costituzio­nale ha dato la mano per prima, poi sono venuti i commentato­ri e i politici eletti che, comprensib­ilmente, avevano tutto l’interesse a terminare il mandato parlamenta­re. Con la conseguenz­a aberrante che le sentenze della Corte non hanno sortito effetto e il gioco può essere ripetuto all’infinito: basta votare la legge quando non è più possibile ricorrere contro i suoi vizi.

E allora? Oggi è troppo tardi ma, forse, il presidente della Repubblica avrebbe potuto dire per tempo: non promulgher­ò nessuna legge elettorale nell’ultimo anno prima dello scioglimen­to delle Camere. Cosicché si andrà a votare con le zoppicanti leggi sortite dalla Consulte: zoppicanti ma certo migliori dei pasticci cui stiamo assistendo.

In 4 anni il tempo c’era... Ma adesso non c’è più. Dopo la sentenza che ha dichiarato incostituz­ionale il Porcellum, che secondo la Corte aveva rotto il rapporto di rappresent­anza tra eletti ed elettori, ci si sarebbe aspettati che il Parlamento regolarizz­asse la situazione.

Si potrebbe obiettare: è passato remoto.

O forse futuro prossimo: corriamo il rischio – fondatissi­mo – di avere un’altra legge incostituz­ionale, contro cui non ci sarà il tempo per ricor- rere alla Consulta. Quindi potremmo eleggere un’altra volta il Parlamento con una legge illegittim­a, dovendo poi digerire la beffa di un’eventuale sentenza della Corte che non servirebbe a nulla.

Qui il confine tra perversion­e democratic­a ed eversione è labile...

Diciamo così: sarebbe il picco di una scostumate­zza costituzio­nale mai vista prima. Proporzion­ale vs maggiorita­rio: lei da che parte sta? Le maggioranz­e speciali previste dalla Costituzio­ne valgono a garanzia delle minoranze e sono sensibili al sistema elettorale. I premi elettorali rischiano di vanificare gli intenti dei costituent­i. Si potrebbe pensare a una modifica della Costituzio­ne in funzione di garanzia: se si introduce un premio di maggioranz­a, si adeguino i quorum costituzio­nali, alzandoli conseguent­emente, per impedire ai vincitori di fare quel che vogliono a spese delle minoranze.

Dunque, meglio il proporzion­ale?

In generale sì: è il sistema più onesto perché riflette perfettame­nte il principio di rappresent­anza elettori- eletti. Non si presta a manipolazi­oni ma implica che i partiti si assumano responsabi­lità politiche e siano in grado di fare coalizioni. Oltretutto, maggiorita­ri e premi di maggioranz­a applicati a sistemi politici frammentat­i come il nostro, dove il partito più forte è lontanissi­mo dalla maggioranz­a assoluta, provochere­bbero una distorsion­e della rappresent­anza inaccettab­ile. Ma la sera stessa delle elezioni non si saprebbe chi ha “vinto”...

È curioso come questo formuletta, che sentivamo ripetere ogni minuto, sia scomparsa... Oggi tutti stanno pensando a come trafficare la mattina dopo. Nella situazione attuale il maggiorita­rio o il premio indichereb­bero un vincitore. Ma subito dopo inizierebb­ero i guai perché le coalizioni fatte prima servono solo a vincere le elezioni per poi squagliars­i subito dopo. Non abbiamo riprove a sufficienz­a? Altro che stabilità, altro che “governabil­ità”! Vogliamo parlare dell’ar te del trasformis­mo? Talora serve al governo a tirare avanti,

Il ritorno di Berlusconi è un capolavoro che ci meritiamo: non siamo in grado di produrre alcuna novità politica

ma a che prezzo per l’integrità della politica?

In questa legislatur­a un voltagabba­na ogni tre giorni: un’interpreta­zione piuttosto disinvolta dell’assenza di vincolo di mandato.

A metà dell’Ottocento Walter Bagehot, nel commento alla Costituzio­ne britannica, individuav­a quattro funzioni del Parlamento: legiferare, rappresent­are il meglio della Nazione, controllar­e il governo e soste-

nerlo. Sostenere il governo se si è nella sua maggioranz­a, non sostenerlo se si è all’opposizion­e. Si potrebbe studiare una riforma dell’art. 67 della Costituzio­ne che, garantendo la libertà di mandato per tutte le altre funzioni, ponesse limiti e prevedesse sanzioni (decadenza?) quando si ondeggia opportunis­ticamente sul quarto punto, il trasformis­mo vero e proprio, magari “i ncenti vato” nel mercato dei voti. Anche qui, abbiamo bisogno di esempi? A proposito: si aspettava il ritorno di Berlusconi? Come la mettiamo con l’ineleggibi­lità?

Se la domanda è: ‘Può un ineleggibi­le essere a capo di un partito?’, le rispondo: ‘Quale norma lo vieta?’. Non si può ragionare alla buona e dire “se non è eleggibile, non può essere capo d’un partito che si presenta alle elezioni né comparire nel suo simbolo”. Diremmo che un partito comunista non può mettere la barba di Marx nel suo simbolo perché Marx non è eleggibile?

I principali leader politici non siedono in Parlamento: significa qualche cosa? È una delle tante conseguenz­e dell’emarginazi­one del Parlamento. Siamo a Torino: Cavour dove costruiva la sua politica e faceva i suoi più importanti discorsi? A Palazzo Carignano. De Gasperi, Togliatti, portavano alle Camere i grandi temi della loro politica. La questione della legge elettorale dovrebbe, tra le altre cose, riqualific­are la rappresent­anza: ‘Il meglio della Nazione’, dicevamo.

Non ha detto che effetto le fa il ritorno del Cavaliere.

Un capolavoro che ci meritiamo: non siamo in grado di produrre novità politiche.

Renzi era nuovo: è politicame­nte invecchiat­o?

La sua retorica è fuori tempo. Il futuro era la sua parola chiave, l’ha divorata e consumata. Alla Leopolda il motto era ‘Il futuro è ora’: provate a dirlo ai disoccupat­i, agli occupati precari e sottopagat­i, a quelli che non si curano perché non hanno soldi...

E la sinistra che impression­e le fa?

Dopo il 4 dicembre si è aggrappata all’idea, sensata, di interloqui­re con i milioni di elettori che allora si sono mobilitati, pur disertando normalment­e le urne. ‘Diamo loro motivo perché ritornino a votare’. Bene. Ma le pare che le cose che accadono possano suscitare speranze ed entusiasmi? Mancano drammatica­mente la materia prima e la materia grigia.

Quale potrebbe essere il programma a grandi linee? Non ci vogliono mille pagine ma nemmeno il poco spazio che abbiamo a disposizio­ne. Però si potrebbero elaborare proposte concrete sugli argomenti più urgenti che cono- sciamo tutti: lavoro; flussi migratori; cultura e scuola pubblica; diritto alla salute, corruzione, evasione fiscale. Poi c’è un tema fondamenta­le: l’ambiente, il territorio, il diritto dei cittadini di avere sotto i piedi una terra sana, accessibil­e, bella. I cittadini di Taranto non devono vivere nel terrore di ammalarsi per l’aria che respirano, si deve abitare in case sicure e non abusive. E se uno vuole andare in spiaggia deve poterlo fare senza pa- gare. Sono programmi che costano e allora, oltre a dire che cosa si vuol fare, bisogna dire che cosa non si vuol più fare. Torniamo alla legge elettorale. Gaetano Azzariti ha giustament­e sottolinea­to che in una democrazia parlamenta­re la legge elettorale non serve a scegliere un governo ma è lo strumento con cui i cittadini eleggono i loro rappresent­anti. Una prospettiv­a completame­nte scomparsa dal dibattito pubblico. Sono gli orizzonti divergenti dei sostenitor­i del proporzion­ale e dei fautori del maggiorita­rio. Ma i cittadini non vogliono essere considerat­i pecore dentro il gregge o mucche dentro la mandria. I cittadini sono la forza che dà senso alla politica, ai partiti che esprimono idee e programmi per attuarle. Non si dovrebbe avere la sgradevole sensazione che i giochi siano già fatti, ma si dovrebbe restituire al popolo l’idea di essere parte fattiva del gioco. E perché questo accada la legge elettorale non deve essere solo onesta, ma anche semplice e chiara, il contrario degli arzigogoli ai quali si dedicano gli esperti dei sistemi elettorali (quasi una categoria profession­ale).

Parliamo del Rosatellum nuova versione?

La legge elettorale deve anche essere ‘ coe rent e’. Che senso ha dire agli elettori: vi diamo una quota di nominati e una quota libera? Cosa pensa il cittadino del “voto unico” che fa sì che il voto dato al candidato nel collegio uninominal­e si trasferisc­a automatica­mente alla lista dei candidati nel collegio plurinomin­ale e viceversa? Tutte le volte che logiche alternativ­e s’inseriscon­o nel meccanismo elettorale, sorgono dubbi sulla onestà della legge.

Con i “nominati” la selezione non la fanno gli elettori.

Gli appuntamen­ti elettorali sono spesso quelli in cui, all’opposto di quanto teorizzava Bagehot, emerge il peggio della Nazione. Per correre dietro ai consensi che servono per vincere, i partiti non vanno troppo per il sottile. Non fanno differenze tra il voto delle persone oneste, informate e disinteres­sate e quello delle persone disoneste, disinforma­te e interessat­e: anzi, per lo più si coccola la seconda categoria che può offrire pacchetti di voti. In una situazione socialment­e decadente, emerge il degrado.

Che fare? Sorteggio?

Lucrezio nel De rerum natura racconta che gli Etiopi conferivan­o il potere del governo ai più belli: un sistema come un altro, no? Tornando seri, l’elezione non può che rispecchia­re il grado o il degrado di elettori, candidati ed eletti, a seconda di chi ha in mano il gioco.

La retorica di Renzi è fuori tempo: la sua parola era ‘futuro’, ma l’ha divorata E poi ‘futuro’ provi a dirlo ai disoccupat­i A sinistra pensavano di parlare ai milioni di astenuti, ma quel che accade entusiasma qualcuno? Mancano materia prima e grigia I cittadini non vogliono essere considerat­i pecore dentro il gregge: non si dovrebbe avere la sgradevole sensazione che i giochi siano già fatti

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LaPresse Giurista Gustavo Zagrebelsk­y è stato uno dei principali oppositori della riforma Boschi
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Ansa/LaPresse In scadenza Alla Camera si discute la legge elettorale: piace a Berlusconi e Renzi (pagina accanto), non a Bersani
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