FALCONE IL PIÙ BRAVO, COSÌ È STATO FERMATO
La casa editrice Einaudi ha recentemente pubblicato un bel libro di Giovanni Bianconi, L’assedio: troppi nemici per Giovanni Falcone. L’autore “ricostruisce, attraverso i documenti e i ricordi dei protagonisti, l’ultimo periodo della vita di Giovanni Falcone. Una indagine nella Storia che rivela la condizione di accerchiamento in cui si è trovato il giudice palermitano, stretto tra mafiosi, avversari interni al mondo della magistratura e una classe politica nel migliore dei casi irresponsabile. E individua coloro che, nascosti dietro il paravento del ‘rispetto delle regole’, lo contrastarono, tentarono di delegittimarlo e lo isolarono fino a trasformarlo nel bersaglio perfetto per i corleonesi di Totò Riina”.
IL LIBRO CI RIPORTAal periodo più buio della storia della magistratura che – unitamente a buona parte della politica – riuscì a delegittimare il magistrato che nel campo delle indagini sulla criminalità organizzata aveva acquisito un’esperienza ineguagliabile. Bocciato come consigliere istruttore a Palermo, bocciato come
Alto commissario antimafia, bocciato come candidato al Csm, bocciato anche come Procuratore nazionale antimafia. Forse nessuno, nel nostro Paese, ha accumulato, in così pochi anni, tante disfatte. Tuttavia, nonostante tutto, la vita di Giovan- ni Falcone non è la cronaca di una sconfitta: essa racconta la straordinaria avventura di un uomo che – manifestando in ogni tempo, atteggiamenti di intransigenza e di forte autonomia – ha segnato il declino di Cosa Nostra. Nel libro viene ricordato quello che un autorevole rappresentante di M.I. – Vincenzo Geraci, ex componente del Csm che nel 1988 si era schierato con Meli contro Falcone (e oggi assurto, come Procuratore aggiunto della Corte di Cassazione, ai vertici della magistratura requirente) – scriveva su Il Giornale del 26.02.1992: “‘Qualificate voci’avevano avvertito che non era il caso di nominare ad importanti incarichi direttivi ‘magistrati pur bravissimi la cui collocazione fuori ruolo presso il ministero non ne esaltava l’immagine di indipendenza’”. E si ricorda che, nella relazione che motivava la scelta a favore di Agostino Cordova a Procuratore nazionale, il consigliere del Csm Gianfranco Viglietta, esponente di M.D., scriveva che “l’esperienza di direttore generale al ministero non è omogenea all’ufficio da ricoprire e non è maturata nell’esercizio della giurisdizione”.
QUESTO INCARICO ritenuto pregiudizievole per la nomina di Falcone a Procuratore nazionale, non è stato oggi ritenuto tale per la nomina a Procuratore della Repubblica di Napoli dell’ex capo gabinetto del ministro Orlando, Giovanni Melillo; peraltro, durante la seduta del Csm del 27 luglio scorso, è stato inopportunamente e impropriamente fatto riferimento a Giovanni Falcone, la cui vicenda era del tutto diversa. Ci si dimentica che egli viveva quell’incarico come un ripiego impostogli dalla stessa magistratura che gli aveva impedito di continuare a svolgere il suo lavoro a Palermo, e che egli continuò al ministero a svolgere la sua missione, la sua battaglia, quella dello Stato contro la mafia, realizzando la sua vincente intuizione di istituire la Dna ( e le Dda), che i suoi oppositori ritenevano “inadeguata e controproducente”.
Il libro – che descrive dettagliatamente gli attacchi subìti dal magistrato da gennaio 1988 a maggio 1992 indicando i nomi di politici, componenti del C.S.M., esponenti di vertice delle correnti associative – non solo è “coinvolgente”, quanto è “scomodo” perché fa riemergere quel passato che si è cercato a ogni costo di rimuovere.
Opportunamente l’autore ricorda agli immemori – sia nella seconda di copertina che nell’ultima pagina, dedicata “alla memoria” di Giovanni Falcone – quello che “il 6 maggio 2004, a dodici anni dalla strage di Capaci, la II sezione penale della Corte di Cassazione ha scritto nella sentenza che ha reso definitive alcune condanne per l’attentato dell’Addaura: ‘Non vi è dubbio che Giovanni Falcone fu sottoposto a un infame linciaggio – prolungato nel tempo, proveniente da più parti, gravemente oltraggioso nei termini, nei modi e nelle forme – diretto a stroncare per sempre, con vili e spregevoli accuse, la reputazione e il decoro professionale del valoroso magistrato. Non vi è alcun dubbio che Giovanni Falcone – certamente il più capace magistrato italiano – fu oggetto di torbidi giochi di potere, di strumentalizzazioni a opera della partitocrazia, di meschini sentimenti di invidia e gelosia, tendenti a impedirgli che assumesse quei prestigiosi incarichi i quali dovevano a lui essere conferiti sia per essere egli il più meritevole, sia perché il superiore interesse generale imponeva che il crimine organizzato fosse contrastato da chi era indiscutibilmente il più bravo e il più preparato, e offriva le maggiori garanzie – anche di assoluta indipendenza e di coraggio – nel contrastare l’associazione criminale’”.