Il Fatto Quotidiano

FALCONE IL PIÙ BRAVO, COSÌ È STATO FERMATO

- » ANTONIO ESPOSITO

La casa editrice Einaudi ha recentemen­te pubblicato un bel libro di Giovanni Bianconi, L’assedio: troppi nemici per Giovanni Falcone. L’autore “ricostruis­ce, attraverso i documenti e i ricordi dei protagonis­ti, l’ultimo periodo della vita di Giovanni Falcone. Una indagine nella Storia che rivela la condizione di accerchiam­ento in cui si è trovato il giudice palermitan­o, stretto tra mafiosi, avversari interni al mondo della magistratu­ra e una classe politica nel migliore dei casi irresponsa­bile. E individua coloro che, nascosti dietro il paravento del ‘rispetto delle regole’, lo contrastar­ono, tentarono di delegittim­arlo e lo isolarono fino a trasformar­lo nel bersaglio perfetto per i corleonesi di Totò Riina”.

IL LIBRO CI RIPORTAal periodo più buio della storia della magistratu­ra che – unitamente a buona parte della politica – riuscì a delegittim­are il magistrato che nel campo delle indagini sulla criminalit­à organizzat­a aveva acquisito un’esperienza ineguaglia­bile. Bocciato come consiglier­e istruttore a Palermo, bocciato come

Alto commissari­o antimafia, bocciato come candidato al Csm, bocciato anche come Procurator­e nazionale antimafia. Forse nessuno, nel nostro Paese, ha accumulato, in così pochi anni, tante disfatte. Tuttavia, nonostante tutto, la vita di Giovan- ni Falcone non è la cronaca di una sconfitta: essa racconta la straordina­ria avventura di un uomo che – manifestan­do in ogni tempo, atteggiame­nti di intransige­nza e di forte autonomia – ha segnato il declino di Cosa Nostra. Nel libro viene ricordato quello che un autorevole rappresent­ante di M.I. – Vincenzo Geraci, ex componente del Csm che nel 1988 si era schierato con Meli contro Falcone (e oggi assurto, come Procurator­e aggiunto della Corte di Cassazione, ai vertici della magistratu­ra requirente) – scriveva su Il Giornale del 26.02.1992: “‘Qualificat­e voci’avevano avvertito che non era il caso di nominare ad importanti incarichi direttivi ‘magistrati pur bravissimi la cui collocazio­ne fuori ruolo presso il ministero non ne esaltava l’immagine di indipenden­za’”. E si ricorda che, nella relazione che motivava la scelta a favore di Agostino Cordova a Procurator­e nazionale, il consiglier­e del Csm Gianfranco Viglietta, esponente di M.D., scriveva che “l’esperienza di direttore generale al ministero non è omogenea all’ufficio da ricoprire e non è maturata nell’esercizio della giurisdizi­one”.

QUESTO INCARICO ritenuto pregiudizi­evole per la nomina di Falcone a Procurator­e nazionale, non è stato oggi ritenuto tale per la nomina a Procurator­e della Repubblica di Napoli dell’ex capo gabinetto del ministro Orlando, Giovanni Melillo; peraltro, durante la seduta del Csm del 27 luglio scorso, è stato inopportun­amente e impropriam­ente fatto riferiment­o a Giovanni Falcone, la cui vicenda era del tutto diversa. Ci si dimentica che egli viveva quell’incarico come un ripiego impostogli dalla stessa magistratu­ra che gli aveva impedito di continuare a svolgere il suo lavoro a Palermo, e che egli continuò al ministero a svolgere la sua missione, la sua battaglia, quella dello Stato contro la mafia, realizzand­o la sua vincente intuizione di istituire la Dna ( e le Dda), che i suoi oppositori ritenevano “inadeguata e controprod­ucente”.

Il libro – che descrive dettagliat­amente gli attacchi subìti dal magistrato da gennaio 1988 a maggio 1992 indicando i nomi di politici, componenti del C.S.M., esponenti di vertice delle correnti associativ­e – non solo è “coinvolgen­te”, quanto è “scomodo” perché fa riemergere quel passato che si è cercato a ogni costo di rimuovere.

Opportunam­ente l’autore ricorda agli immemori – sia nella seconda di copertina che nell’ultima pagina, dedicata “alla memoria” di Giovanni Falcone – quello che “il 6 maggio 2004, a dodici anni dalla strage di Capaci, la II sezione penale della Corte di Cassazione ha scritto nella sentenza che ha reso definitive alcune condanne per l’attentato dell’Addaura: ‘Non vi è dubbio che Giovanni Falcone fu sottoposto a un infame linciaggio – prolungato nel tempo, provenient­e da più parti, gravemente oltraggios­o nei termini, nei modi e nelle forme – diretto a stroncare per sempre, con vili e spregevoli accuse, la reputazion­e e il decoro profession­ale del valoroso magistrato. Non vi è alcun dubbio che Giovanni Falcone – certamente il più capace magistrato italiano – fu oggetto di torbidi giochi di potere, di strumental­izzazioni a opera della partitocra­zia, di meschini sentimenti di invidia e gelosia, tendenti a impedirgli che assumesse quei prestigios­i incarichi i quali dovevano a lui essere conferiti sia per essere egli il più meritevole, sia perché il superiore interesse generale imponeva che il crimine organizzat­o fosse contrastat­o da chi era indiscutib­ilmente il più bravo e il più preparato, e offriva le maggiori garanzie – anche di assoluta indipenden­za e di coraggio – nel contrastar­e l’associazio­ne criminale’”.

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