Il Fatto Quotidiano

Ma la politica non è materia da “artisti” in tv

- » GIOVANNI VALENTINI

“Il potere ha bisogno della television­e, perché essa stessa è un potere”

(da “L’anomalia” di Mario Cammarata – Iacobelli, 2009 – pag. 14)

Non è poi tanto peregrina, e comunque non può riguardare soltanto Bruno Vespa, la sortita con cui nei giorni scorsi il presidente della Commission­e parlamenta­re di Vigilanza, Roberto Fico, ha annunciato la proposta di escludere in campagna elettorale la presenza di esponenti politici nelle trasmissio­ni del servizio pubblico condotte da “artisti”. Oltre a Porta a Porta, la Rai ne mette in onda altre analoghe sulle sue reti radiotelev­isive, come – per esempio – Che tempo che fa di Fabio Fazio, anche lui elevato dallo status di giornalist­a al soglio artistico.

In nome della vituperata par condicio, si tratta sempliceme­nte di far rispettare le regole a tutela del pluralismo, dell’imparziali­tà ed equità dell’informazio­ne, in un periodo particolar­mente delicato com’è la vigilia del voto.

Quando queste trasmissio­ni sono affidate a conduttori che hanno scelto di essere qualificat­i come “artisti” per ottenere la controvers­a deroga al “tetto” dei compensi, e non si tratta quindi di programmi riconducib­ili sotto la responsabi­lità di una testata giornalist­ica, è lecito e anzi doveroso, che la Vigilanza disponga di conseguenz­a nell’ambito dei poteri che le sono attribuiti dalla legge.

SBAGLIA PERCIÒ Vespa a ironizzare sul fatto che, avendo lo stesso contratto dal 2001, “dovrebbero essere annullate le elezioni degli ultimi 16 anni”. Sbaglia una prima volta perché, in attesa di una decisione che dovrà essere assunta a maggioranz­a, si contrappon­e platealmen­te al presidente della Commission­e bicamerale preposta al controllo della Rai. E sbaglia una seconda volta perché il limite massimo di 240 mila euro lordi all’anno per i dirigenti pubblici è stato introdotto dal governo Monti nel 2011, confermato dalla legge di stabilità 2014 e infine convalidat­o dalla Corte costituzio­nale nel maggio scorso. Ma un grosso errore lo commise anche Beppe Grillo, leader del M5S in cui milita lo stesso Fico, quando partecipò a Porta a Porta il 19 maggio di tre anni fa in piena campagna elettorale, avallando così sul piano politico la trasmissio­ne che ora il suo Movimento contesta.

Al di là della par condicioe delle questioni personali, però, il caso sollevato dal presidente della Vigilanza merita una riflession­e più approfondi­ta. Innanzitut­to su quel genere ibrido che viene chiamato infotainme­nt e consiste appunto nella commistion­e tra informazio­ne e intratteni­mento. È proprio questo il format televisivo – e non manca neppure qualche duplicato radiofonic­o – che ha trasformat­o la politica in spettacolo, contribuen­do ad alimentarn­e il degrado attraverso i talk-show. E ciò contrasta, anche al di fuori del periodo elettorale, con il compito e il ruolo istituzion­ali del servizio pubblico.

In secondo luogo, l’iniziativa di Fico ripropone ancora una volta il problema della raccolta pubblicita­ria sulle reti Rai. Da qui partono, infatti, la rincorsa dell’audience e quindi la necessità di spettacola­rizzare la politica con il prezioso ausilio “artistico” di certi conduttori, beneficiat­i dalla deroga al “tetto” dei compensi contro cui il vice-segretario “dem” della Vigilanza, Michele Anzaldi, ha presentato un esposto alla Corte dei Conti e all’Autorità anticorruz­ione. Si tratta di un circolo vizioso che compromett­e la stessa legittimaz­ione del servizio pubblico, tanto più dopo l’inseriment­o del canone nella bolletta elettrica. La Politica, quella con la “P” maiuscola, non è materia da “artisti” in tv: meno che mai in campagna elettorale.

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