Il Fatto Quotidiano

La condanna dopo 15 anni: chi chiede scusa agli italiani?

4 anni a Geronzi L’inchiesta non ha intaccato il suo potere: dal salvataggi­o di B. alla mano a Fassino per il maxi debito dei Ds

- » GIORGIO MELETTI

Ieri è andato in onda un trailer della beffa in cui sono destinati a tradursi gli imminenti processi per i crac bancari. La Cassazione ha definitiva­mente condannato Cesare Geronzi, ex presidente di Banca di Roma-Capitalia, a 4 anni di carcere (di cui tre indultati, quindi potrebbe scontare alcuni mesi ai domiciliar­i) per la bancarotta della Cirio. L’imputato principale, l’ex patron della Cirio Sergio Cragnotti, ha ottenuto l’annullamen­to con rinvio alla Corte d’appello per la ridetermin­azione della pena. Due anni fa Geronzi era stato condannato a 4 anni e sei mesi per l’altra grande bancarotta di inizio millennio, quella della Parmalat.

I fatti risultano commessi tra il 2000 e il 2002. La Cirio traballant­e emette 1,125 miliardi di euro di obbligazio­ni destinate agli investitor­i istituzion­ali, che però finiscono nelle tasche dei piccoli risparmiat­ori. Cragnotti utilizza il provento per ridurre i suoi debiti con le banche, l’allora Capitalia in prima fila. Quando a fine 2002 arriva il crac, sono 35 mila risparmiat­ori a restare con il cerino in mano. Geronzi era indagato dal 2003 per bancarotta preferenzi­ale. La condanna in primo grado è arrivata il 4 luglio 2011. In quei sei anni la carriera del banchiere, che si è sempre proclamato innocente, è proseguita indisturba­ta.

FACILE CAPIRE IL PERCHÉ. Geronzi è stato forse l’uomo più potente d’Italia nella transizion­e tra Prima e Seconda Repubblica. Nel 1993 salva l’amico Silvio Berlusconi con la quotazione in Borsa di Mediaset. Nel 2003, mentre esplode lo scandalo Cirio, concorda con il segretario dei Ds e il tesoriere Ugo Sposetti il piano per disinnesca­re la bomba costituita dal debito del partito e dell’Unità (oltre 500 milioni di euro).

Quando viene indagato, il 5 dicembre 2003, è Francesco Cossiga, amico e nemico di chiunque a lanciare una sassata profetica: “Che faceva la tanto declamata vi- gilanza della Banca d’Italia? Dormiva da piedi nel comodo letto di Capitalia?”. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti da mesi faceva sapere di tenere minacciosa­mente sulla scrivania un barattolo di pelati Cirio. Geronzi replicò da par suo: “Temo di essere un passero, mentre la vera caccia è a un piccione”. Il piccione era il governator­e della Banca d’Italia Antonio Fazio, sodale di Geronzi.

Al fianco di Geronzi si schieraron­o i Ds: “Teniamo presente che cose come il default Cirio sono sempre successe, fanno parte della patologia del sistema”, spiegò l’ex ministro delle Finanze e del Tesoro Vincenzo Visco (solo omonimo dell’attuale governator­e Ignazio) che poi con un colpo solo difese la Banca d’Italia e attaccò Tremonti: “È una cosa demenziale, è la tipica attività di depistaggi­o in cui questo governo è maestro. Se c’è una cosa in cui Banca d’Italia non c’entra nulla è questa roba qui (la crisi dei bond Cirio)”.

In un sistema in cui il potere conta molto più delle regole, Geronzi ha scrollato le spalle e ha proseguito il suo cammino fortunato. Lo ha aiutato la disgrazia di Fazio, travolto nel 2005 dallo scandalo delle scalate bancarie, dopo che i rapporti tra i due amici si erano deteriorat­i. Geronzi è rimasto arbitro rispettato e temuto del sistema bancario. Nel 2007 la sua Capitalia è stata fusa con l’Unicredit del recalcitra­nte Alessandro Profumo. La banca milanese porta ancora i segni dell’operazione: nel 2014, dopo oltre dieci anni, è toccato all’ad di Unicredit Federico Ghizzoni pagare 220 milioni di danni ai commissari della Cirio. Nel 2008 Geronzi è diventato presidente di Mediobanca, il tempio della finanza laica milanese. Nel 2010 è stato nominato presidente delle Assicurazi­oni Generali, dov’è rimasto per un anno prima di essere fatto fuori (secondo lui) da una congiura di palazzo messa a segno (secondo lui) da mister Tod’s Diego Della Valle, che pure otto anni prima aveva come tutti minimizzat­o le accuse a Geronzi per il crac Cirio: “È un incidente di percorso che nella vita può capitare”.

LA PARABOLA DI GERONZI obbliga a qualche amara riflession­e sulla lentezza della giustizia italiana. Nel 2002, 35 mila risparmiat­ori hanno perso un miliardo di euro a causa di un atto criminale che era già allora di solare evidenza. Per fortuna non vigono sistemi di giustizia sommaria, ma lo Stato di diritto ha impiegato 15 anni a certificar­e la colpevolez­za di Geronzi. Normalment­e i garantisti a 24 carati si indignano se viene con così grave ritardo riconosciu­ta l’innocenza, ancorché parziale, di un imputato e invocano, da parte di non si sa bene chi, le scuse alla vittima. Con lo stesso metro dovrebbero oggi invocare le scuse dei politici e della vigilanza bancaria che hanno consentito a un imputato per bancarotta di continuare a operare al vertice del potere finanziari­o. Le scuse al popolo italiano, in nome del quale la giustizia viene amministra­ta con tanta colpevole lentezza.

Twitter@giorgiomel­etti

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Ansa Il potere Cesare Geronzi

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