La condanna dopo 15 anni: chi chiede scusa agli italiani?
4 anni a Geronzi L’inchiesta non ha intaccato il suo potere: dal salvataggio di B. alla mano a Fassino per il maxi debito dei Ds
Ieri è andato in onda un trailer della beffa in cui sono destinati a tradursi gli imminenti processi per i crac bancari. La Cassazione ha definitivamente condannato Cesare Geronzi, ex presidente di Banca di Roma-Capitalia, a 4 anni di carcere (di cui tre indultati, quindi potrebbe scontare alcuni mesi ai domiciliari) per la bancarotta della Cirio. L’imputato principale, l’ex patron della Cirio Sergio Cragnotti, ha ottenuto l’annullamento con rinvio alla Corte d’appello per la rideterminazione della pena. Due anni fa Geronzi era stato condannato a 4 anni e sei mesi per l’altra grande bancarotta di inizio millennio, quella della Parmalat.
I fatti risultano commessi tra il 2000 e il 2002. La Cirio traballante emette 1,125 miliardi di euro di obbligazioni destinate agli investitori istituzionali, che però finiscono nelle tasche dei piccoli risparmiatori. Cragnotti utilizza il provento per ridurre i suoi debiti con le banche, l’allora Capitalia in prima fila. Quando a fine 2002 arriva il crac, sono 35 mila risparmiatori a restare con il cerino in mano. Geronzi era indagato dal 2003 per bancarotta preferenziale. La condanna in primo grado è arrivata il 4 luglio 2011. In quei sei anni la carriera del banchiere, che si è sempre proclamato innocente, è proseguita indisturbata.
FACILE CAPIRE IL PERCHÉ. Geronzi è stato forse l’uomo più potente d’Italia nella transizione tra Prima e Seconda Repubblica. Nel 1993 salva l’amico Silvio Berlusconi con la quotazione in Borsa di Mediaset. Nel 2003, mentre esplode lo scandalo Cirio, concorda con il segretario dei Ds e il tesoriere Ugo Sposetti il piano per disinnescare la bomba costituita dal debito del partito e dell’Unità (oltre 500 milioni di euro).
Quando viene indagato, il 5 dicembre 2003, è Francesco Cossiga, amico e nemico di chiunque a lanciare una sassata profetica: “Che faceva la tanto declamata vi- gilanza della Banca d’Italia? Dormiva da piedi nel comodo letto di Capitalia?”. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti da mesi faceva sapere di tenere minacciosamente sulla scrivania un barattolo di pelati Cirio. Geronzi replicò da par suo: “Temo di essere un passero, mentre la vera caccia è a un piccione”. Il piccione era il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, sodale di Geronzi.
Al fianco di Geronzi si schierarono i Ds: “Teniamo presente che cose come il default Cirio sono sempre successe, fanno parte della patologia del sistema”, spiegò l’ex ministro delle Finanze e del Tesoro Vincenzo Visco (solo omonimo dell’attuale governatore Ignazio) che poi con un colpo solo difese la Banca d’Italia e attaccò Tremonti: “È una cosa demenziale, è la tipica attività di depistaggio in cui questo governo è maestro. Se c’è una cosa in cui Banca d’Italia non c’entra nulla è questa roba qui (la crisi dei bond Cirio)”.
In un sistema in cui il potere conta molto più delle regole, Geronzi ha scrollato le spalle e ha proseguito il suo cammino fortunato. Lo ha aiutato la disgrazia di Fazio, travolto nel 2005 dallo scandalo delle scalate bancarie, dopo che i rapporti tra i due amici si erano deteriorati. Geronzi è rimasto arbitro rispettato e temuto del sistema bancario. Nel 2007 la sua Capitalia è stata fusa con l’Unicredit del recalcitrante Alessandro Profumo. La banca milanese porta ancora i segni dell’operazione: nel 2014, dopo oltre dieci anni, è toccato all’ad di Unicredit Federico Ghizzoni pagare 220 milioni di danni ai commissari della Cirio. Nel 2008 Geronzi è diventato presidente di Mediobanca, il tempio della finanza laica milanese. Nel 2010 è stato nominato presidente delle Assicurazioni Generali, dov’è rimasto per un anno prima di essere fatto fuori (secondo lui) da una congiura di palazzo messa a segno (secondo lui) da mister Tod’s Diego Della Valle, che pure otto anni prima aveva come tutti minimizzato le accuse a Geronzi per il crac Cirio: “È un incidente di percorso che nella vita può capitare”.
LA PARABOLA DI GERONZI obbliga a qualche amara riflessione sulla lentezza della giustizia italiana. Nel 2002, 35 mila risparmiatori hanno perso un miliardo di euro a causa di un atto criminale che era già allora di solare evidenza. Per fortuna non vigono sistemi di giustizia sommaria, ma lo Stato di diritto ha impiegato 15 anni a certificare la colpevolezza di Geronzi. Normalmente i garantisti a 24 carati si indignano se viene con così grave ritardo riconosciuta l’innocenza, ancorché parziale, di un imputato e invocano, da parte di non si sa bene chi, le scuse alla vittima. Con lo stesso metro dovrebbero oggi invocare le scuse dei politici e della vigilanza bancaria che hanno consentito a un imputato per bancarotta di continuare a operare al vertice del potere finanziario. Le scuse al popolo italiano, in nome del quale la giustizia viene amministrata con tanta colpevole lentezza.
Twitter@giorgiomeletti