“Al mondo possiamo dare più della Ferrante”
Non è facile trovare un altro Pamuk, ma alzare l’asticella aiuterebbe
Sì, certo, per carità, il Nobel è solo un premio – e i premi non sono tutto. Sì, certo, c’è di mezzo un gioco: il toto- Nobel che si accende ogni anno a inizio ottobre, praticamente solo per ipotizzare quello letterario. Nessuno, d’altra parte, azzarda pronostici sul riconoscimento in materia di chimica e di fisica: guarda un po’.
E COMUNQUE, a parte l’eterna (e ormai quasi stucchevole) delusione per il grande Philip Roth, sono vent’anni che il Nobel per scrittori non va a un italiano. Il premio a Dario Fo nel 1997 c’è chi deve ancora digerirlo; tuttavia, più passa il tempo, meno sembra eccentrico. Il tifo per Mario Luzi, a quei tempi, fece più male che bene al poeta. L’Accademia sparigliò, e nel frattempo sono passati due decenni. Gli unici nomi che circolano fra i bookmaker, dopo la morte di Tabucchi, sono Claudio Magris e Dacia Maraini.
La Ferrante, il grande brand della letteratura italiana all’estero, è troppo anonima, forse, per essere premiata. E il resto? Ogni Paese ha i suoi scrittori nobélisable, come dicono i francesi, che ne sfornano parecchi. Perciò, risulta almeno lecito chiedersi: e i nostri? Come sta messa la generazione di mezzo, quella dei nati fra l’inizio degli anni Quaranta e la fine dei Cinquanta? Mica facile trovare il nostro Pamuk (premiato), il nostro Grossman (non ancora premiato). Il narratore capace di porre temi radicali, la presenza intellettuale energica ma non ideologica. Dobbiamo preoccuparci? Non so. Abbiamo bravissimi scrittori, ma una letteratura nel complesso debole, forse poco ambiziosa – come il resto del Paese. So che mi tiro dietro improperi e macumbe dicendo così, ma trovare nomi – ripeto, anche solo per gioco – adatti a Stoccolma non è semplice.
Né aiuta l’inesistente politica di sostegno alle traduzioni: l’Islanda, che ha trecentomila abitanti, fa infinitamente di più per far conoscere nel mondo la sua letteratura. Noi ci facciamo bastare la Ferrante. E invece ne avremmo di scrittori e scrit- trici di prim’ordine da far conoscere in giro. Quanto a loro – questo è certo – potrebbero (potremmo!) osare un po’ di più, alzare l’asticella e la posta in gioco per i lettori e per i colleghi più pigri (del presente e del futuro).
TUTTO SI PUÒ dire di Ishiguro, Aleksievic o Alice Munro fuorché discutere la loro imponenza. Su, scrittori italiani! Forza! Non è questione di vincere il Nobel, ma di lasciare qualche segno un po’ più spesso, dare la sensazione che la lingua e la letteratura di Dante, oltre all’Amica geniale, hanno ancora qualcosa di importante da dire e da dare al pianeta.