Etruria, un conto da 576 milioni di danni per il crac
Dissesto Via libera di Via Nazionale all’azione di responsabilità del liquidatore contro gli ex vertici. Tra cui papà Boschi, incapiente
Sono stati citati per 576 milioni di euro di danni davanti al Tribunale civile di Roma per le perdite causate dalla loro gestione 37 ex consiglieri di Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio oltre alla società Price Waterhouse Coopers, revisore dei conti, alla quale viene chiesto un risarcimento di 112 milioni. Nelle 138 pagine dell’atto di citazione viene ricostruita una “storia di mala gestio dolosamente e/o con colpa grave perpetrata ai danni della società e ai suoi creditori”. Nel documento vengono ricordate le tre ispezioni di Banca d’Italia, avvenute tra il 2010e il 2015, oltre al frettoloso piazzamento delle obbligazioni subordinate ai risparmiatori che sono state successivamente azzerate.
L'AZIONE di responsabilità nei confronti dei vecchi vertici è stata avviata dal commissario liquidatore, Giuseppe Santoni, proseguita dal nuovo acquirente Ubi banca, che ha acquisito il nuovo istituto (ora si chiama “Banca Tirrenica”) nato dalle ceneri di quello vecchio ed è stata autorizzata dalla Banca d'Italia a cui per legge spettava dare il via libera.
Tra i consiglieri figurano gli ultimi due presidenti, Lorenzo Rosi e Giuseppe Fornasari, l'ex direttore generale Luca Bronchi, i consiglieri Andrea Orlandi e Luciano Nataloni e il vicepresidente Pier Luigi Boschi, padre dell'ex ministro e oggi sottosegretario Maria Elena, e indagato per bancarotta nell'ambito di uno dei filoni dell'inchiesta relativi al crac della popolare aretina.
Agli ex vertici sono mosse diverse contestazioni. In particolare una omissiva gestione dei crediti deteriorati, alcune aperture di credito con aziende e società prive di adeguate garanzie e, infine, una “illegittima condotta commissiva e omissiva relativa alla decisione di non coltivare la prospettiva di salvatag- gio mediante aggregazione con partner strategico”, si legge nell'atto di citazione del Tribunale di Roma, che fa riferimento alla mancata fusione con la Popolare di Vicenza ( poi finita gambe all’aria e i cui vertici sono sotto inchiesta per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza) auspicato da Palazzo Koch.
BANCA d’Italia anche per questo motivo aveva già comminato due multe agli stessi consiglieri: una prima nel 2014 per 2,5 milioni complessivi e una seconda nel 2016 per altri 2,2 milioni. Infine, nel settembre scorso, è arrivata Consob chiedendo sanzioni per altri 2,6 milioni. A carico di Pierluigi Boschi l'organismo di vigilanza ha chiesto 120 mila euro ma il padre del ministro è stato trovato incapiente e gli è stata pignorata l’unica proprietà dichia- rata: un piccolo orto.
L’azione di responsabilità, anticipata nel marzo 2016 dal Fatto, negli ultimi mesi era tornata sotto i riflettori. Questo perché a luglio scorso il governo ha bloccato tra le polemiche un emendamento al decreto sulle banche venete che riguardava proprio gli ex amministratori di istituti finiti in liquidazione. La modifica era stata presentata dal relatore del testo alla Camera, Giovanni Sanga (Pd) e concordata col Ministero dell'Economia: prevedeva, in caso di condanna nell'azione di responsabilità avviata dai commissari liquidatori, “l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, dall’es er ci zi o delle professioni, dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”. Ovviamente la norma avrebbe potuto colpire anche Papà Boschi. A sorpresa il testo fu ritirato all'ultimo sotto la pressione di Palazzo Chigi. A fine settembre il governo si è impegnato con una mozione a reinserirlo nel primo provvedimento utile, ma non si sa quale. Un impegno, al solito, non vincolante.
Nel frattempo si è insediata la commissione d'inchiesta bicamerale sulle crisi bancarie, presieduta da Pier Ferdinando Casini. Ne è entrato a far parte anche Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd ma soprattutto socio in uno studio privato di Firenze di Emanuele Boschi, ex dipendente di Banca Etruria nonché fratello di Maria Elena e figlio di Pier Luigi.
“Manina” preventiva A luglio il governo fece ritirare una norma che interdiva i banchieri finiti in liquidazione