Né cosche né Magliana, ma Roma è corrotta
Esclusa anche la “mafiosità derivata”, sugli appalti “inquinate le scelte politiche”
“Ifatti accertati” sono “di estrema gravità, intanto per il loro stesso numero, poi per essere stati i reati-fine realizzati in forma associata, con la costituzione delle due associazioni, e infine per la durata stessa della condotta antigiuridica (...) interrotta soltanto dalle indagini prima e dal processo poi”. Insomma sono fatti di corruzione, di associazione a delinquere, ma non di mafia. I giudici della decima sezione penale in 3.200 pagine di motivazioni spiegano perché non hanno riconosciuto l’associazione mafiosa (articolo 416 bis), a quel gruppo finito nel mirino della procura di Roma con l’inchiesta “Mafia Capitale”. I giudici in sostanza spiegano che esistono invece due associazioni a delinquere semplici. La prima costituita dall’ex Nar Massimo Carminati e dal “suo valido braccio esecutivo” Riccardo Brugia che si occupava “della riscossione dei crediti che Lacopo Roberto concedeva presso il distributore di Corso Francia”. In questo caso, spiega la sentenza, i “fatti di estorsione e usura attestano da un lato una composizione piuttosto scarna della associazione criminale, dall’altro la presenza di un numero di vittime complessivamente modesto (11 persone in tutto in 3 anni)”. Dell’altra associazione, operante invece negli appalti pubblici, erano partecipi tra gli altri Salvatore Buzzi, l’ex consigliere regionale Luca Gramazio e l’ex ad de Ama Franco Panzironi, ai quali si aggiungono Carminati e Brugia.
PER IL TRIBUNALE quindi si tratta di “due mondi nati separatamente” che tali sono rimasti: per entrambi non è stata individuata “alcuna mafiosità ‘derivata’ da altre, precedenti o concomitanti formazioni criminose”. Non ci sono quindi collegamenti né con i Nar né con la Banda della Magliana (“gruppo ormai estinto”): “Non vuole certo negarsi che alcuni epigoni della banda, ancora presenti sul territorio, operino attualmente a livello criminale – è scritto nelle motivazioni –: queste però appaiono diverse dalla originaria matrice e rappresentano un fattore criminale (...) disconnesso dalla originaria struttura”. Per questo applicare il 416 bis agli imputati del processo “Mafia Capitale” significherebbe interpretare in maniera “talmente estensiva la norma da trasformarsi – con violazione del principio di legalità – in vere e proprie innovazioni legislative, che rimangono riservate al legislatore”. Insomma è una Roma corrotta, ma non mafiosa, dove “nel settore degli appalti pubblici, l’associazione ha avuto la capacità di inquinare durevolmente e pesantemente, con metodi corruttivi diffusi, le scelte politiche e l’azione della pubblica amministrazione”. Così le pene inflitte in primo grado sono inferiori a quelle chieste dalla Procura che ipotizzava il 416 bis: 20 anni a Carminati, 19 a Buzzi. Entrambi non hanno ottenuto le attenuanti generiche, come la maggior parte degli imputati: “Le complessive dichiarazioni degli imputati sono risultate solo parzialmente credibili. (...) Altri imputati hanno preferito la via, più radicale, del sistematico silenzio”.
NEL CASO di Buzzi per i giudici “la sua strategia è consistita nello stabilire le alleanze da salvaguardare (quelle con la destra politica, con cui ha intrattenuto proficui rapporti di affari) su di esse, in massima parte, non dicendo la verità, e di rivelare quanto a sua conoscenza nel settore delle relazioni con la sinistra”. Carminati, invece, con le sue dichiarazioni da un lato ha affermato “una supremazia criminale”, dall’altro ha ridimensionato “la portata delle sue gesta, attribuendone l’ enfatizza zione” alla stampa: “Egli è determinato nello scagionare i livelli politici della destra, primo fra tutti Gramazio”, condannato a 11 anni in primo grado. Anche per chi ha collaborato le pene sono state dure: Luca Odevaine, uomo del centro sinistra, ha già patteggiato due volte (a Roma e a Catania), ma peri giudici l’ esse restato a libro paga dell’ associazione è più grave. Pena triplicata rispetto alle richieste dei pm: sei anni e mezzo.
Nella sentenza Buzzi e Carminati hanno scagionato la destra. Nel caso delle usure, le vittime sono poche: 11 in 3 anni