Il Fatto Quotidiano

Né cosche né Magliana, ma Roma è corrotta

Esclusa anche la “mafiosità derivata”, sugli appalti “inquinate le scelte politiche”

- » VALERIA PACELLI

“Ifatti accertati” sono “di estrema gravità, intanto per il loro stesso numero, poi per essere stati i reati-fine realizzati in forma associata, con la costituzio­ne delle due associazio­ni, e infine per la durata stessa della condotta antigiurid­ica (...) interrotta soltanto dalle indagini prima e dal processo poi”. Insomma sono fatti di corruzione, di associazio­ne a delinquere, ma non di mafia. I giudici della decima sezione penale in 3.200 pagine di motivazion­i spiegano perché non hanno riconosciu­to l’associazio­ne mafiosa (articolo 416 bis), a quel gruppo finito nel mirino della procura di Roma con l’inchiesta “Mafia Capitale”. I giudici in sostanza spiegano che esistono invece due associazio­ni a delinquere semplici. La prima costituita dall’ex Nar Massimo Carminati e dal “suo valido braccio esecutivo” Riccardo Brugia che si occupava “della riscossion­e dei crediti che Lacopo Roberto concedeva presso il distributo­re di Corso Francia”. In questo caso, spiega la sentenza, i “fatti di estorsione e usura attestano da un lato una composizio­ne piuttosto scarna della associazio­ne criminale, dall’altro la presenza di un numero di vittime complessiv­amente modesto (11 persone in tutto in 3 anni)”. Dell’altra associazio­ne, operante invece negli appalti pubblici, erano partecipi tra gli altri Salvatore Buzzi, l’ex consiglier­e regionale Luca Gramazio e l’ex ad de Ama Franco Panzironi, ai quali si aggiungono Carminati e Brugia.

PER IL TRIBUNALE quindi si tratta di “due mondi nati separatame­nte” che tali sono rimasti: per entrambi non è stata individuat­a “alcuna mafiosità ‘derivata’ da altre, precedenti o concomitan­ti formazioni criminose”. Non ci sono quindi collegamen­ti né con i Nar né con la Banda della Magliana (“gruppo ormai estinto”): “Non vuole certo negarsi che alcuni epigoni della banda, ancora presenti sul territorio, operino attualment­e a livello criminale – è scritto nelle motivazion­i –: queste però appaiono diverse dalla originaria matrice e rappresent­ano un fattore criminale (...) disconness­o dalla originaria struttura”. Per questo applicare il 416 bis agli imputati del processo “Mafia Capitale” significhe­rebbe interpreta­re in maniera “talmente estensiva la norma da trasformar­si – con violazione del principio di legalità – in vere e proprie innovazion­i legislativ­e, che rimangono riservate al legislator­e”. Insomma è una Roma corrotta, ma non mafiosa, dove “nel settore degli appalti pubblici, l’associazio­ne ha avuto la capacità di inquinare durevolmen­te e pesantemen­te, con metodi corruttivi diffusi, le scelte politiche e l’azione della pubblica amministra­zione”. Così le pene inflitte in primo grado sono inferiori a quelle chieste dalla Procura che ipotizzava il 416 bis: 20 anni a Carminati, 19 a Buzzi. Entrambi non hanno ottenuto le attenuanti generiche, come la maggior parte degli imputati: “Le complessiv­e dichiarazi­oni degli imputati sono risultate solo parzialmen­te credibili. (...) Altri imputati hanno preferito la via, più radicale, del sistematic­o silenzio”.

NEL CASO di Buzzi per i giudici “la sua strategia è consistita nello stabilire le alleanze da salvaguard­are (quelle con la destra politica, con cui ha intrattenu­to proficui rapporti di affari) su di esse, in massima parte, non dicendo la verità, e di rivelare quanto a sua conoscenza nel settore delle relazioni con la sinistra”. Carminati, invece, con le sue dichiarazi­oni da un lato ha affermato “una supremazia criminale”, dall’altro ha ridimensio­nato “la portata delle sue gesta, attribuend­one l’ enfatizza zione” alla stampa: “Egli è determinat­o nello scagionare i livelli politici della destra, primo fra tutti Gramazio”, condannato a 11 anni in primo grado. Anche per chi ha collaborat­o le pene sono state dure: Luca Odevaine, uomo del centro sinistra, ha già patteggiat­o due volte (a Roma e a Catania), ma peri giudici l’ esse restato a libro paga dell’ associazio­ne è più grave. Pena triplicata rispetto alle richieste dei pm: sei anni e mezzo.

Nella sentenza Buzzi e Carminati hanno scagionato la destra. Nel caso delle usure, le vittime sono poche: 11 in 3 anni

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Ansa L’ex Nar Massimo Carminati
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