Il Fatto Quotidiano

La rimozione collettiva di B. il condannato

- » PETER GOMEZ

Secondo una delle definizion­i più in voga “la rimozione in psicanalis­i è un meccanismo della mente che allontana dalla coscienza desideri, pensieri o residui mnestici considerat­i inaccettab­ili o intollerab­ili dall’Io, la cui presenza provochere­bbe vergogna”. Proprio per questo non stupisce che in questi giorni, più o meno tutti, sui giornali e in politica, facciano finta di ignorare i propositi di Silvio Berlusconi in materia di giustizia. Lui, come al solito, è piuttosto chiaro. Pubblicame­nte ripete che vuole separare le carriere tra pubblici ministeri e giudici e soprattutt­o abolire la custodia cautelare in carcere. In manette, anche se arrestati in flagranza, per Berlusconi ci devono finire solo i presunti autori di crimini violenti. Per tutti gli altri, dai ladri di appartamen­to ai truffatori, fino ad arrivare ai corrotti e agli spacciator­i, deve scattare la libertà su cauzione. È il modello americano. Che lì funziona (con molte controindi­cazioni) per due ragioni. La prima è che i processi si fanno in fretta. Soprattutt­o perché le sentenze non hanno motivazion­i scritte, sono immediatam­ente esecutive (cioè il condannato va in prigione subito dopo il primo grado) e sono appellabil­i solo quando la difesa è in grado di produrre nuove prove decisive che non aveva in nessun caso potuto presentare in dibattimen­to. La seconda ragione è che la condanna non è mai virtuale. Se negli Usa ti danno 4 anni, salvo rare eccezioni, te li fai e basta. Non come in Italia, dove fino a 3 anni e mezzo (e più) un incensurat­o la cella la vede solo dipinta. Tanto da festeggiar­e dopo un verdetto sfavorevol­e perché la cosa peggiore che gli capiterà è l’affidament­o in prova ai servizi sociali (esperienza che Berlusconi ha vissuto lavorando in una casa di riposo per anziani).

PER QUESTO NEGLI STATI UNITI i processi sono molto pochi. Gli imputati che capiscono di essere stati raggiunti da prove forti preferisco­no sempre patteggiar­e la pena. Il loro ragionamen­to è semplice: meglio accordarmi oggi con l’accusa per una condanna immediata a due anni piuttosto che rischiare di prendermen­e 6 tra dieci o dodici mesi. E scontarli tutti.

Il risultato è che negli Stati Uniti ci sono più di due milioni di detenuti contro i 57 mila presenti in Italia. In gran parte poveri, ispanici o afroameric­ani. Un dato che la dice lunga sui difetti di quel sistema (un bambino di colore su 9 ha un genitore in carcere, spesso perché le famiglie non possono permetters­i un buon avvocato), ma che però spiega bene come mai lì la libertà su cauzione funzioni.

Ciascun lettore sul punto può, ovviamente, pensarla come gli pare. Prima del voto sarebbe bello sapere però anche cosa ne pensano gli altri partiti. Per esempio, l’alleato in pectoreMat­teo Salvini concorda sulla cauzione concessa anche a presunti ladri e spacciator­i? E se sì, vuole lo stesso mantenere i tre gradi di giudizio e l’affidament­o in prova come pretende l’ex Cavaliere? Cosa dirà, invece, il Pd se per caso dopo le urne si troverà a governare, volente o nolente, con Forza Italia? E quali riflession­i fanno i grandi giornali e i loro lettori? Un liberale come Luigi Einaudi ci ha insegnato che in democrazia bisogna “conoscere per deliberare”.

Per questo viene il sospetto che il silenzio assordante che circonda le proposte di Berlusconi abbia molto a che fare con uno psicanalit­ico processo di rimozione. Affrontare un dibattito del genere è complicato.

Costringe a esaminare pro e contro. A ricordare magari che l’ex Cavaliere è un condannato. Un “residuo mnestico” che a volte può persino provocare vergogna.

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