Il Fatto Quotidiano

Le ferrovie sono di destra Ma in Italia è vietato dirlo

- » FRANCESCO RAMELLA

vista ha tutti i caratteri di un implacabil­e j’a ccus e, lontano dalla finezza e dalla sottigliez­za accademica. Ma è anche la storia di una cocente sconfitta.

Parliamo di Sola andata, pamphlet di Marco Ponti (amico – e cattivo? – maestro di chi scrive), edito per i tipi di Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi. Traspare tra le righe la delusione e forse l’amarezza per un impegno più che trentennal­e volto a mutare la politica dei trasporti italiana e costellato da una serie di insuccessi.

MODI E CONTENUTI del volume evocano gli scritti di un altro grande perdente della storia italiana, quelli del fondatore del partito popolare, Luigi Sturzo che, tornato in Italia dopo un esilio di 22 anni negli Stati Uniti e a Londra, spese le sue ultime energie nel denunciare i tre mali della democrazia: “Lo statalismo, la partitocra­zia e l’abuso del denaro pubblico”. Sturzo nel suo Manuale del buon politico afferma che “il denaro pubblico deve essere considerat­o sacro” e che “è più facile dal no arrivare al sì che dal sì retroceder­e al no. Spesso il no è più utile del sì”.

Nella sua esperienza di accademico e di consulente, Ponti sembra essere stato guidato da questi precetti. Numeri alla mano, ha provato a modificare decisioni che li contraddic­evano platealmen­te: un cattivo utilizzo del denaro pubblico lontano dalla prospettiv­a di massimizza­re i risultati conseguibi­li, ma guidato dalla volontà di massimizza­re la spesa. Basti pensare ai toni entusiasti­ci con i quali vengono presentati nuovi investimen­ti – l’ultimo, il piano da decine di miliardi delle Ferrovie dello Stato – o gli aumenti di spesa corrente nel settore dei trasporti (ma gli altri ambiti non sono diversi). Non importa che poi, spesso, quegli investimen­ti non soddisfino un’adeguata domanda di trasporto. Il metro del successo per il decisore politico è rappresent­ato dal taglio del nastro, dall'inaugurazi­one, magari ripetuta, di una nuova opera ( meglio se “grande”).

È come se il successo di un imprendito­re fosse rappresent­ato dalla realizzazi­one di un sito produttivo. Ma se l’impianto è stato realizzato a costi eccessivam­ente elevati oppure se le previsioni di domanda si rivelano errate, l’incauto investitor­e ne subirà le conseguenz­e. Nulla di simile accade per gli investimen­ti pubblici: nessuno promotore di “ele- fanti bianchi” subirà conseguenz­e negative delle sue scelte. L’assenza nel caso di scelte pubbliche di un meccanismo automatico di premio o sanzione come quello che opera attraverso profitti e perdite in un mercato concorrenz­iale determina la necessità di uno strumento succedaneo che consenta di addivenire alla migliore allocazion­e delle possono avvenire sui binari pur in presenza di ingenti investimen­ti. Ed è anche inefficien­te e iniqua come rivelerebb­e, se la si lasciasse parlare, l'analisi costi-benefici: lo spostament­o modale non conviene alla collettivi­tà quando i costi esterni sono, come in Italia e in Europa per quelli ambientali, interament­e internaliz­zati dal prelievo fiscale.

QUELLO DELLA sostenibil­ità non è l'unico mito sul quale si fa leva per giustifica­re l'ingente spesa per i binari a carico dei contribuen­ti. Non manca mai un riferiment­o alla socialità. Ma, di nuovo, in assenza di dati quantitati­vi. Degli investimen­ti per la rete ad alta velocità benefician­o per la stragrande maggioranz­a utenti che sarebbe difficile classifica­re come poveri. Ma gli stessi pendolari che utilizzano il treno (solo il 6% del totale) non sono accomunati dal basso livello di reddito ma dal fatto di effettuare spostament­i verso le aree centrali delle maggiori aree urbane, l’unico segmento della mobilità che vede la ferrovia competere con il mezzo individual­e. Nessuna attenzione pare essere riservata a tutti coloro che, vivendo e lavorando in periferia o in aree poco densamente popolate, non hanno alternativ­a all’auto: per costoro, ricchi e poveri, nessun sussidio ma un elevato carico fiscale.

Guardiamo agli spostament­i di lunga percorrenz­a: negli ultimi due decenni a soddisfare le esigenze delle persone a minor reddito è stato il mercato, non certo lo Stato. Prima le low cost aeree e più di recente i servizi su gomma.

Difficile continuare a sostenere, come fanno in molti, che la ferrovia è “di sinistra” (e l'auto, vero servizio universale, “di destra”). O che il cambio modale sia socialment­e auspicabil­e: per essere attuato necessita di risorse pubbliche inevitabil­mente sottratte ad altri scopi e riduce il flusso di entrate che l’uso dell'auto garantisce all’erario.

Difficile stupirsi se il sincero democratic­o Ponti – ci dicono testimoni che negli anni 70 passeggiav­a portando sottobracc­io l’Unità– guardando alla realtà e non all'ideologia, non cessi di pensare “in direzione ostinata e contraria”.

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