“Le tre del mattino” e la notte dell’anima non è più così buia
la prima (vera) chance tramutata da seconda, è la fortuna di non avere rimpianti, l’occasione di potersi guardare allo specchio e non temere il confronto con il proprio genitore. Di scoprire il proprio genitore.
È la differente percezione del tempo, lo scandire dei minuti come occasione di crescita, la possibilità di non cadere nella storica frase sbattuta in faccia a Paul Newman, alias Eddie Felson nel film Lo spaccone: “Puoi anche perdere se hai una scusa”.
E pagina dopo pagina terminano le scuse dei protagonisti dell’ultimo libro scritto da Gianrico Carofiglio, Le tre del mattino (edizioni Einaudi): il viaggio di un padre e un figlio, un parallelo tra due distinte e complementari personalità; uno smussare dei silenzi, delle paure, delle incomprensioni fisiologiche e reali; è la ricerca della matrice, non delle ragioni altrui, solo delle risposte, la coniugazione verbale di alcuni interrogativi sviluppati (spesso male) negli anni successivi al divorzio tra i genitori.
SULLO SFONDO, ad accompagnarli c’è la Marsiglia dei primi anni Ottanta, con qualche richiamo legato alla trilogia di Jean-Claude Izzo e del suo Fabio Montale, tra locali malfamati, quartieri pericolosi, polizia violenta, prelibatezze culinarie, improvvisa e sincera solidarietà umana, le passeggiate tra le viette della città e la sorpresa nel percepire il piacere sulla pelle di un sole spesso azzurro.
È qui che Antonio e suo padre, 51enne austero docente di Matematica, devono affrontare tre giorni e due notti senza mai dormire: l’obiettivo medico è stressare il cervello e il sistema nervoso del ragazzo per capire se manifesta dei segni di epilessia, o se è definitivamente guarito.
Dallo stupore iniziale cresce il diletto successivo, le salite mentali non sono così ripide, mentre appaiono più semplici le discese (molto intensa la parte dedicata alla musica jazz e al genitore che trova il coraggio di salire su un palco e suonare); la possibilità di abbracciarsi, di togliere dei diaframmi mentali, di affrontare con coraggio delle risposte a domande considerate imbarazzanti, fino a dissolvere la frase centrale del libro, nata dalla penna di Scott Fitzgerald: “Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino”.
COSÌ, SE IL PARAMETRO è la scorrevolezza nella lettura e il sapore finale, allora il libro di Carofiglio è centrato: rientra nella categoria dei romanzi per i quali si prova dispiacere nelle ultime pagine, quando si rallenta la lettura per allontanare la parola fine; e dopo l’inesorabile, si torna a leggere la quarta di copertina, per poi posare il libro sul comodino, non ancora in libreria.
Restano più belle e intese le fasi centrali e finali del romanzo, quando anche lo stesso scrittore sembra acquisire i giusti equilibri della vicenda e vestire in pieno i panni del giovane Antonio, oramai proiettato nel capitolo “adulto”, alla ricerca di una vita “non sciupata nel continuo commercio della gente, con troppe parole in un viavai frenetico”, come avrebbe detto Costantino Kavafis.
Twitter: @A_Ferrucci