“Molti”, neri e senza nome: gli schiavi tornano a Caracalla
N1938
- LA STORIA In merito all’80° anniversario delle Leggi Razziali, è stata da pochi giorni inaugurata a Roma, presso la Fondazione Museo della Shoah (Casina dei Vallati,Via del Portico d’Ottavia, 29) la mostra “1938 - La storia”, a cura di Marcello Pezzetti e Sara Berger (fino al 30 marzo). Attraverso fotografie, manifesti, documenti, giornali, oggetti e filmati, in gran parte inediti, verrà ricordato uno dei periodi più bui della storia d’Italia (1938-1943) on si vede nulla. L’impatto tra la luce accecante dell’ottobre romano e il buio quasi pesto dei sotterranei fa male agli occhi. Ci vuole qualche minuto per mettere a fuoco, per abituarsi. Anzi, per immedesimarsi. La galleria degli schiavi è lì davanti. Oggi come ieri, come poco meno di duemila anni fa, nel 216 d. C., al tempo dei Severi. Una fila infinita di occhi, bocche, nasi, volti sofferenti che poco a poco prendono vita, si animano, raccontano.
LE TERME Antoniniane rappresentano uno dei più imponenti complessi dell’Impero Romano, tra i meglio conservati e tra i più visitati al mondo. Inaugurate da Marco Aurelio Antonino Bassiano – per tutti Caracalla – erano non soltanto edifici per il bagno, ma anche luogo di incontro, di passeggio, di sport, di studio e di cura del corpo. Spogliate nei secoli delle statue e dei marmi pregiati, sono però rimaste lì, imponenti nelle loro rovine, utilizzate ancora oggi d’estate come sfondo per l’opera o per i balletti. Quello che non tutti sanno, però, anche perché spesso non si può vedere, è che sotto il calidarium , il tepidarium e il frigidarium, corrono 3,6 km di sotterranei (uno dei quali ancora non scavato), il vero cuore pulsante del complesso. La prima rotatoria della storia, per consentire l’accesso ai carri che portavano il legname, le fornaci, l’impianto idraulico degno dei migliori ingegneri moderni (venne creata apposta una diramazione dell’Acqua Marcia). Nei sotterranei di Caracalla lavoravano migliaia di persone – anzi, di schiavi – con i volti simili a quelli fotografati dall’artista Antonio Biasiucci, che proprio in questa galleria espone “Molti”, da ieri fino al 19 novembre. Quarantasei ritratti in bianco e nero imprigionati in una cornice metallica ricoperta da un cristallo e appoggiata direttamente sul pavimento. Visi che in realtà sono i calchi realizzati dall’ant ro po lo go Lidio Cipriani negli anni Trenta in alcuni Paesi del Nord Africa, fotografati da Biasiucci nel 2009.
L’effetto dell’esposizione è straniante. Man mano che gli occhi si abituano alla luce fioca, si scorgono una alla volta queste facce sofferenti che, nel loro silenzio, sembra che urlino. Osservati dall’alto, come a voler rimarcare la loro condizione di inferiorità, uomini e donne perdono i riferimenti temporali: sono di un secolo fa, ma potrebbero essere gli schiavi utilizzati da Caracalla, o i corpi straziati del Mediterraneo di morte. “La definizione ‘Molti’ – spiega il fotografo Biasiucci – dà il senso di privazione dell’identità. È un’opera con pochi elemen- ti di datazione e questo la rende predisposta a relazionarsi con il luogo in cui viene ospitata. Qui la luce fioca fa assomigliare l’allestimento a una grande camera oscura”.
PER COSTRUIRE questi impianti, servirono 9.000 operai al giorno per 5 anni, furono utilizzati nove milioni di laterizi, 252 colonne, 18 cisterne e 50 forni, che consumavano dieci tonnellate al giorno di legname. A differenza della superficie, i sotterranei sono stati dimenticati fino al 1912 e questo ne ha preservato l’integrità. Adesso ci pensano, invece, le poche risorse a mantenerli ancora chiusi: a eccezione dei “Notturni d’estate a Caracalla” (dal 18 agosto al 3 ottobre scorso), che hanno visto un afflusso record di visitatori, queste gallerie non possono permettersi di rimanere aperte sempre: “Servirebbe assumere altre cinque o sei persone – spiega Marina Piranomonte, direttrice scientifica del complesso termale – e non abbiamo i soldi per altri stipendi. Figuriamoci per scavare il chilometro che ancora non conosciamo! Le nostre priorità sono manutenzione e restauro”. I Romani usavano gli schiavi per lavorare, oggi nuove forme di schiavitù sono state legalizzate nel mondo del lavoro. Con una differenza: all’epoca dei Severi, almeno, c’era lo ius soli. PRIMA mostra personale in un museo italiano dell’artista francese Renaud Auguste-Dormeuil (1968) “Jusqu’ici tout va bien”, (Fin qui tutto va bene), un osservatorio sulla qualità enigmatica del tempo, sulla sua natura assillante che l’arte talvolta rende possibile. In mostra The day before , dodici mappe di cieli stellati che hanno illuminato altrettanti luoghi del pianeta la notte precedente un micidiale attacco aereo: il cielo sopra Hiroshima il 5 agosto del 1945, le stelle sopra Baghdad la notte del 15 gennaio del 1991, quelle di New York il 10 settembre 2001. IN DUE: Thomas Muehlbauer e Thomas Rucker nella loro “La Contemplazione, i fiori di loto e le stelle”. Oltre che una mostra, si tratta del racconto di un’amicizia, di una storia d’amore verso Roma e l’Italia. Salisburghesi e viaggiatori, le loro opere si sono trasformate in un dialogo più meditato, con grandi tele lavorate a quattro mani. Un racconto interiore per entrambi, che si traduce in colori pieni di luce ed energia. Un’arte astratta, erede della grande pittura europea, di Kandinsky e Klee, e di quella americana da Pollock a Basquiat.