Il Fatto Quotidiano

LA LEGGE SUL VOTO CHE MOLTIPLICA L’ASTENSIONI­SMO

- SALVATORE SETTIS

Sulla nuova legge elettorale e il patto scellerato che ne ha assicurato l’approvazio­ne alla Camera si è ormai detto tutto. O quasi. Un punto mi pare sia rimasto ancora al margine nei commenti di questi giorni: il reale rapporto fra la legge e il crescente astensioni­smo. La legge Rosato istiga alla sfiducia nelle istituzion­i perché disprezza la Costituzio­ne e le sentenze della Consulta, insiste sulle liste bloccate, è pensata come una conventioa­d ex cl udendum di alcuni partiti ai danni di altri; inoltre, ha costretto il governo a un improprio voto di fiducia che lo delegittim­a, e, se sarà firmata da Mattarella, ne appannerà la figura.

LA SFIDUCIAne­lle istituzion­i genera astensioni­smo, questo lo dicono tutti; ma il prevedibil­e calo di affluenza alle urne viene di solito presentato come un by-product della legge elettorale, un effetto previsto ma collateral­e. E se allontanar­e i cittadini dalle urne fosse invece, in una strategia perversa ma tutt’altro che fantapolit­ica, scopo primario di una legge come questa? Gli indizi abbondano, a cominciare dai grandi festeggiam­enti dopo le Europee del 25 maggio 2014 per il 40,81

% del Pd, definito da Renzi “risultato storico”. Nei commenti di allora (verificare per credere) ben pochi notarono che la coalizione di ferro fra non votanti e schede bianche o nulle superava di molto, col suo 49,63%, il risultato del Pd. E che la percentual­e Pd, se calcolata sul totale dell’elettorato, valeva in realtà solo il 20,64%. Ma i trionfalis­mi di Renzitravo­ls ero lascen apolitica italiana, innescando l’ arrogante marcia di una riforma costituzio­nale scritta coi piedi e approvata a occhi chiusi da un Parlamento di nominati. La sicumera con cui si dava per scontata la vittoria nel referendum era dovuta al calcolo che alle urne si presentass­ero da una parte solo i fedelissim­i (per convenienz­a o per inerzia) e dall’altra un manipolo di “gufi” ormai condannati a vani piagnistei. Il referendum del 4 dicembre, grazie a una mobilitazi­one di imprevista ampiezza, portò invece alle urne milioni di persone (specialmen­te giovani) che affossaron­o la stolta riforma e chi vi si era prestato. Ma questa inversione di tendenza, anche per la natura assai composita degli elettori del No, non incide minimament­e sulla tendenza a un astensioni­smo crescente, dimostrato anche dai voti alle elezioni regionali (47,4% di votanti in Basilicata, un drammatico 37,67% in Emilia; in Sicilia vedremo). Intanto, nulla fanno i nostri governi per recuperare alla democrazia i 22 milioni di cittadini che non votarono alle Europee. Perso il referendum, non è cambiato il piano di chi vuole impadronir­si di un’Italia in cui la fiducia nelle istituzion­i cala ogni giorno: avere sempre più voti (in percentual­e) su sempre meno votanti. E, tramontato il sogno di una maggioranz­a solitaria del Pd, raggiunger­e comunque questo risultato mediante una qualche larga intesa, riesumando Verdini e Berlusconi e rastrellan­do voti a qualsiasi costo. Per poi ritentare, con sprezzo del referendum, lo stravolgim­ento della Costituzio­ne già fallito una volta.

Perciò, un anno dopo aver contestato l’a ppoggio alla riforma costituzio­nale del presidente emerito Napolitano con una lettera aperta pubblicata da Repu bb li ca il 4 ottobre 2016 ( con risposta di Napolitano), stavolta mi trovo in pieno accordo con le sue pesanti osservazio­ni sul cosiddetto Rosatellum. Ma non sarebbe forse l’ora, alla vigilia di nuove elezioni, di fare il bilancio degli errori compiuti all’indomani delle ele- zioni del febbraio 2013 ? Allora il Pd, anziché tentare altre coalizioni anche di limitato scopo e durata, scelse l’abbraccio mortale con Berlusconi. Allora il capo dello Stato pretese irritualme­nte dal presidente incaricato Bersani di garantire una maggioranz­a parlamenta­re prima di presentars­i alle Camere, e Bersani piegò la testa rinunciand­o al mandato. Allora Beppe Grillo derise apertament­e chi invitava M5S e Pd a negoziare una coalizione d’obiettivo, con il programma di risolvere annose questioni come una sana legge elettorale e una legge sul conflitto d’interessi, e i due appelli in merito (9 marzo: Un patto per cambiare, se non ora, quando? e poi 10 marzo: Facciamolo!), pur raccoglien­do 200 mila firme in pochi giorni, restarono lettera morta.

MOLTO È CAMBIATO da allora, ma qualcosa di uguale è rimasto: la scarsa democrazia interna dei partiti, dal Pd al M5S, che favorisce l’astensioni­smo creando condizioni favorevoli a una politica che sull’astensioni­smo fa leva; mentre i fuoriuscit­i dal Pd non trovano nemmeno la strada per far blocco tra loro. La legge elettorale contribuis­ce a tener fissa la bussola del discorso politico sul “come” e non sul “che cosa”, sulle coalizioni e non sulle necessità del Paese, sui giochi di potere e non sui programmi di governo. Proprio nessuno vuol provare a porvi rimedio? Nessuno vuol provare a capovolger­e le regole del gioco, facendo leva sulla democrazia interna di partito e su un chiaro progetto di attuazione dei diritti costituzio­nali per riportare alle urne quegli stessi giovani elettori che il 4 dicembre mostrarono fiducia nella Costituzio­ne?

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