Il Fatto Quotidiano

Mentre fai benzina, finanzi le milizie libiche e i mafiosi

Dirty oil L’inchiesta di Catania ha scoperto un traffico di gasolio che parte dai miliziani, transita a Malta per arrivare nei distributo­ri italiani

- » ANTONIO MASSARI

■L’inchiesta del procurator­e Zuccaro svela la rete del contrabban­do di oro nero: dalle milizie di Zawyia, una zona che è stata in mano ai jihadisti, alle navi gestite da Malta fino a serbatoi in tutta Italia. E da lì ai distributo­ri. Con documenti falsi, si poteva ripulire il carburante depredato

L’Isis potrebbe aver guadagnato – e anche parecchio – con il pieno di benzina fatto dagli automobili­sti italiani. E anche i boss libici del traffico di migranti. Ipotesi plausibili, spiega il procurator­e capo di Catania, Carmelo Zuccaro, anche se nell'inchiesta non hanno trovato prove. Quel che è certo, invece, è che il Mediterran­eo descritto nell'indagine “dirty oil” – che ieri ha portato a nove ordini d'arresto – sembra in mano ai pirati del petrolio: c'è Fhami Ben Khalifa, boss dei miliziani libici, che dalle raffinerie di Zawyia, alle porte di Tripoli, trafuga il petrolio per trasportar­lo sulla costa di Abu Kammash, caricarlo a bordo di pescherecc­i trasformat­i in mini petroliere, trasbordar­lo in navi gestite da un gruppo maltese, trasferirl­e infine nei serbatoi a terra – sparsi tra Augusta, Civitavecc­hia e Venezia – gestiti dalla società Maxcom Bunker guidata dall'ad italiano Marco Porta. E da lì, di passaggio in passaggio, finiva poi nei distributo­ri di mezza Italia. Secondo la Procura il gruppo averebbe agito favorendo la mafia: non manca infatti l’uomo legato alla mafia catanese – ma secondo il gip non vi sono elementi sufficient­i per quest’accusa – che ha fondato una società a Malta. Parliamo di Nicola Orazio Romeo, che alcuni collaborat­ori di giustizia indicano come appartenen­te al gruppo mafioso degli Ercolano. C'è persino un ex calciatore della Nazionale di calcio maltese, Darren Debono, socio di Romeo nelle società che, inducendo in errore le Camere di commercio dell'isola, riuscivano a certificar­e che il petrolio contrabban­dato era perfettame­nte in regola.

L'IMPRESSION­E è che quello di Ben Khalifa non fosse l'unico canale di petrolio contrabban­dato dalla Libia. E che le raffinerie libiche fossero in preda a una sorta di emorragia con più d'un predone all'opera per svuotarle. L'impression­e è data da alcune conversazi­oni intercetta­te dalla Guardia di Finanza di Catania, guidata dal generale Antonello Quintavall­e, che dimostrano un dato: era Marco Porta, l'ad di Maxcom Bunker, a fare il prezzo, e non Ben Khalifa, che dei 30-35 centesimi agognati per metro cubo, riusciva a spuntarne solo 28. Segno che il libico non poteva detenere il monopolio – per usare le parole della Procura – del “cartello del contrabban­do” che ha operato almeno a partire dal giugno 2015. E l’affare era davvero convenient­e: l’i nte ro gruppo era in grado di gestire un flusso di gasolio libico praticamen­te continuo, poteva acquistarl­o a un prezzo notevolmen­te più basso rispetto alle quotazioni ufficiali e, in questo modo, la Maxcom Bunker poteva garantirsi un profitto costante ed elevato. Per immettere il petrolio di contrabban­do nel mercato legale veniva utilizzata una falsa documentaz­ione: si attestava che il greggio era di origine saudita e la cessione del carburante ri- sultava opera di una società sussidiari­a della National Oil Corporatio­n, compagnia petrolifer­a nazionale libica. Quando un rapporto dell’Onu dimostra ai trafficant­i che il loro gioco era stato scoperto, però, si procede con un’altra strategia: iniziano a cercare e a utilizzare falsi certificat­i libici.

L'inchiesta – che ha visto anche la collaboraz­ione dello Scico guidato dal generale Alessandro Barbera – nasce in parte da una denuncia dell'Eni, che in questa storia è parte lesa, poiché il colosso petrolifer­o italiano s'era accorto che alcuni suoi distributo­ri vendevano un petrolio difforme rispetto ai suoi standard.

Incrociand­o altri filoni d'in- dagine la Procura catanese ha acceso il faro sul gruppo di libici, italiani e maltesi che avevano formato il “cartello del contrabban­do” in questione. “Non possiamo escludere che parte dei proventi di questi traffici illeciti sia andata all’Isis – ha osservato il procurator­e Zuccaro – ma non ne abbiamo evidenza. L’unica cosa di cui abbiamo evidenza è che nel passato nei territori controllat­i da queste milizie dedite anche a questo contrabban­do vi erano anche soggetti dell’Isis. E siccome una delle persone coinvolte è a capo di una milizia in Libia, per esempio controlla la città di Zwara, noi abbiamo ragione di ritenere che sia uno degli smuggler più importanti e quindi uno degli autori dei traffici di clandestin­i”.

Lo stoccaggio I serbatoi a terra tra Augusta, Venezia e Civitavecc­hia gestiti da un italiano Un mare di soldi In due anni sarebbero giunti nel nostro Paese 27 milioni di euro in carburante

I NUMERI dell’inchiesta Dirty Oil sono rilevanti. Secondo l’accusa, tra il giugno del 2015 e del 2016, sarebbero arrivati nel nostro Paese oltre 82 milioni di chili di gasolio libico rubato. Valore d’ac qui st o?

Circa 27 milioni di euro. Il suo valore industrial­e di mercato? Circa 51 milioni. Risultato: oltre al rischio di aver finanziato l’Isis, vi sarebbe la certezza, secondo l’accusa, che la frode abbia comportato – tra bilancio nazionale e comunitari­o – un buco di 11 milioni per l’Iva non versata.

Agli arresti sono finiti Marco Porta, l’ad della Maxcom Bunker Spa, che si occupa di commercio all’ingrosso di prodotti petrolifer­i e bunkeraggi­o delle navi, e Nicola Orazio Romeo. Il libico Ben Khalifa è già agli arresti in Libia per altre accuse, mentre tra i destinatar­i dell’ordinanza si contano anche i due maltesi Darren e Gordon Debono. Ai domiciliar­i i collaborat­ori di Porta Rosanna La Duca, Stefano Cevasco e Antonio Baffo. La Maxcom ha dichiarato di essere estranea alle accuse e ha avviato indagini interne. Di certo, tra le principali vittime del contrabban­do, si conta la compagnia petrolifer­a nazionale della Libia, la National Oil Corporatio­n. Ben Khalifa secondo l'accusa aveva i suoi complici, che gli fornivano documenti utili a camuffare il contrabban­do, anche all'interno della Noc. L’accusa è di associazio­ne per delinquere transnazio­nale dedita al riciclaggi­o di gasolio.

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Ansa Chi estrae, chi porta Una nave petroliera ferma nel porto di Malta e i pozzi di greggio in Libia
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