Mentre fai benzina, finanzi le milizie libiche e i mafiosi
Dirty oil L’inchiesta di Catania ha scoperto un traffico di gasolio che parte dai miliziani, transita a Malta per arrivare nei distributori italiani
■L’inchiesta del procuratore Zuccaro svela la rete del contrabbando di oro nero: dalle milizie di Zawyia, una zona che è stata in mano ai jihadisti, alle navi gestite da Malta fino a serbatoi in tutta Italia. E da lì ai distributori. Con documenti falsi, si poteva ripulire il carburante depredato
L’Isis potrebbe aver guadagnato – e anche parecchio – con il pieno di benzina fatto dagli automobilisti italiani. E anche i boss libici del traffico di migranti. Ipotesi plausibili, spiega il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, anche se nell'inchiesta non hanno trovato prove. Quel che è certo, invece, è che il Mediterraneo descritto nell'indagine “dirty oil” – che ieri ha portato a nove ordini d'arresto – sembra in mano ai pirati del petrolio: c'è Fhami Ben Khalifa, boss dei miliziani libici, che dalle raffinerie di Zawyia, alle porte di Tripoli, trafuga il petrolio per trasportarlo sulla costa di Abu Kammash, caricarlo a bordo di pescherecci trasformati in mini petroliere, trasbordarlo in navi gestite da un gruppo maltese, trasferirle infine nei serbatoi a terra – sparsi tra Augusta, Civitavecchia e Venezia – gestiti dalla società Maxcom Bunker guidata dall'ad italiano Marco Porta. E da lì, di passaggio in passaggio, finiva poi nei distributori di mezza Italia. Secondo la Procura il gruppo averebbe agito favorendo la mafia: non manca infatti l’uomo legato alla mafia catanese – ma secondo il gip non vi sono elementi sufficienti per quest’accusa – che ha fondato una società a Malta. Parliamo di Nicola Orazio Romeo, che alcuni collaboratori di giustizia indicano come appartenente al gruppo mafioso degli Ercolano. C'è persino un ex calciatore della Nazionale di calcio maltese, Darren Debono, socio di Romeo nelle società che, inducendo in errore le Camere di commercio dell'isola, riuscivano a certificare che il petrolio contrabbandato era perfettamente in regola.
L'IMPRESSIONE è che quello di Ben Khalifa non fosse l'unico canale di petrolio contrabbandato dalla Libia. E che le raffinerie libiche fossero in preda a una sorta di emorragia con più d'un predone all'opera per svuotarle. L'impressione è data da alcune conversazioni intercettate dalla Guardia di Finanza di Catania, guidata dal generale Antonello Quintavalle, che dimostrano un dato: era Marco Porta, l'ad di Maxcom Bunker, a fare il prezzo, e non Ben Khalifa, che dei 30-35 centesimi agognati per metro cubo, riusciva a spuntarne solo 28. Segno che il libico non poteva detenere il monopolio – per usare le parole della Procura – del “cartello del contrabbando” che ha operato almeno a partire dal giugno 2015. E l’affare era davvero conveniente: l’i nte ro gruppo era in grado di gestire un flusso di gasolio libico praticamente continuo, poteva acquistarlo a un prezzo notevolmente più basso rispetto alle quotazioni ufficiali e, in questo modo, la Maxcom Bunker poteva garantirsi un profitto costante ed elevato. Per immettere il petrolio di contrabbando nel mercato legale veniva utilizzata una falsa documentazione: si attestava che il greggio era di origine saudita e la cessione del carburante ri- sultava opera di una società sussidiaria della National Oil Corporation, compagnia petrolifera nazionale libica. Quando un rapporto dell’Onu dimostra ai trafficanti che il loro gioco era stato scoperto, però, si procede con un’altra strategia: iniziano a cercare e a utilizzare falsi certificati libici.
L'inchiesta – che ha visto anche la collaborazione dello Scico guidato dal generale Alessandro Barbera – nasce in parte da una denuncia dell'Eni, che in questa storia è parte lesa, poiché il colosso petrolifero italiano s'era accorto che alcuni suoi distributori vendevano un petrolio difforme rispetto ai suoi standard.
Incrociando altri filoni d'in- dagine la Procura catanese ha acceso il faro sul gruppo di libici, italiani e maltesi che avevano formato il “cartello del contrabbando” in questione. “Non possiamo escludere che parte dei proventi di questi traffici illeciti sia andata all’Isis – ha osservato il procuratore Zuccaro – ma non ne abbiamo evidenza. L’unica cosa di cui abbiamo evidenza è che nel passato nei territori controllati da queste milizie dedite anche a questo contrabbando vi erano anche soggetti dell’Isis. E siccome una delle persone coinvolte è a capo di una milizia in Libia, per esempio controlla la città di Zwara, noi abbiamo ragione di ritenere che sia uno degli smuggler più importanti e quindi uno degli autori dei traffici di clandestini”.
Lo stoccaggio I serbatoi a terra tra Augusta, Venezia e Civitavecchia gestiti da un italiano Un mare di soldi In due anni sarebbero giunti nel nostro Paese 27 milioni di euro in carburante
I NUMERI dell’inchiesta Dirty Oil sono rilevanti. Secondo l’accusa, tra il giugno del 2015 e del 2016, sarebbero arrivati nel nostro Paese oltre 82 milioni di chili di gasolio libico rubato. Valore d’ac qui st o?
Circa 27 milioni di euro. Il suo valore industriale di mercato? Circa 51 milioni. Risultato: oltre al rischio di aver finanziato l’Isis, vi sarebbe la certezza, secondo l’accusa, che la frode abbia comportato – tra bilancio nazionale e comunitario – un buco di 11 milioni per l’Iva non versata.
Agli arresti sono finiti Marco Porta, l’ad della Maxcom Bunker Spa, che si occupa di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e bunkeraggio delle navi, e Nicola Orazio Romeo. Il libico Ben Khalifa è già agli arresti in Libia per altre accuse, mentre tra i destinatari dell’ordinanza si contano anche i due maltesi Darren e Gordon Debono. Ai domiciliari i collaboratori di Porta Rosanna La Duca, Stefano Cevasco e Antonio Baffo. La Maxcom ha dichiarato di essere estranea alle accuse e ha avviato indagini interne. Di certo, tra le principali vittime del contrabbando, si conta la compagnia petrolifera nazionale della Libia, la National Oil Corporation. Ben Khalifa secondo l'accusa aveva i suoi complici, che gli fornivano documenti utili a camuffare il contrabbando, anche all'interno della Noc. L’accusa è di associazione per delinquere transnazionale dedita al riciclaggio di gasolio.