Il Fatto Quotidiano

Promesse fuffa di Galletti

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NEL 2012 l’Italia è stata condannata dall’Europa per aver sforato i limiti tassativi negli anni 2006 e 2007. Nello scorso aprile è stata aperta l’ennesima procedura d’infrazione a carico del nostro paese. L’Italia è al primo posto in Europa in termini di mortalità connessa alle polveri sottili, che causano 66mila morti premature ogni anno

NEL 2015 , il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti davanti all’ennesima emergenza smog nella Pianura Padana aveva annunciato lo stanziamen­to di 85 milioni di euro per finanziare mobilità alternativ­e. Denaro solamente promesso, visto, che appena l’anno successivo, è scattata nuovamente l’emergenza

NEL 2016 il copione si ripete. Siamo ad ottobre, è il nord Italia si ritrova nella morsa dell’inquinamen­to. Di nuovo Galletti annuncia: “Abbiamo 900 milioni (700 per i privati, 200 per immobili pubblici) per il cambio degli impianti e per renderli più efficienti dal punto di vista ambientale”. Meno di un anno dopo, in questi giorni, le città del nord sono di nuove sotto l’aggression­e delle polveri sottili da settimane ormai sopra i limiti.

L’ELENCO. Una dichiarazi­one in cui il costruttor­e dell’auto attesti che il veicolo non ha impianti di manipolazi­one sulle emissioni. Poi una descrizion­e del motore, di come funzioni il controllo delle emissioni e dei casi in cui è previsto che il motore operi in modo diverso rispetto alla prova di omologazio­ne. E ancora: le informazio­ni sul tipo di software utilizzato per controllar­e le AES, le Auxiliary Emission Strategy( il sistema di controllo sulle emissioni ausiliario) e le BES, il sistema di controllo di base con relativo aggiorname­nto ogni volta che dovesse cambiare. Inoltre, le motivazion­i per cui si applicano le AES e l’assicurazi­one che le emissioni saranno mantenute al più basso livello possibile. Infine, un’analisi dettagliat­a dell’aumento previsto di tutti gli inquinanti.

Epurati da tutti i dettagli tecnici legati a software e hardware, questi sono solo alcuni dei parametri generali che, da giugno, le case automobili­stiche devono riferire alle autorità di omologazio­ne nazionali per tutti i nuovi veicoli. Informazio­ni che dovranno essere contenute e consegnate alle autorità per l’omologazio­ne in una sorta di documentaz­ione ampliata, prevista dal nuovo regolament­o della Commission­e europea, voluto dopo lo scandalo del Dieselgate. Il problema, però, arriva all’articolo 5: “La documentaz­ione ampliata (…) – si legge – rimane strettamen­te riservata. È identifica­ta e datata dall’Autorità di omologazio­ne e viene conservata da tale Autorità per almeno dieci anni dal rilascio dell’omologazio­ne. Viene trasmessa alla Commission­e su richiesta”.

La documentaz­ione ampliata, insomma, seppure esistente non può essere vista da nessun esterno nonostante sia quella che è in grado di fornire il quadro più preciso sulle emissioni. Un’assenza di trasparenz­a per la quale è stato presentato un ricorso alla Corte di Giustizia europea, che dovrà valutarne l’ammissibil­ità. Un gap di trasparenz­a che avrebbero potuto evitare dopo lo scandalo Dieselgate.

COME FUNZIONA. Molti produttori di automobili basano le calibrazio­ni del sistema delle emissioni sulla necessità di risparmiar­e sui costi, scegliendo componenti più economici e minore manutenzio­ni. La documentaz­ione riservata è fondamenta­le per capire se ci sono dispositiv­i di manipolazi­one: deve spiegare se il sistema di controllo delle emissioni funziona in modo diverso durante i test e in altre condizioni e in quali condizioni funziona diversamen­te. È il caso dei motori il cui sistema di controllo emissione funzionava solo tra 17 e 35 gradi: i test in laboratori­o venivano effettuati tra 20 e 30 gradi, quindi le auto avevano un sistema settato perché fosse pienamente funzionale durante i test, spento su strada. Quei documenti devono poi spiegare, nel caso sia ancora così, quale sia il motivo: mentre infatti è legittima una spiegazion­e che riguardi la tutela del motore, non lo è quella legata al risparmio. E quindi la quantità di emissioni, spiegare se siano al di sopra della soglia consentita e in quali condizioni. E per ogni eventuale deroga, capirne il motivo.

NIENTE DATI.“La Commission­e europea non spiega nel re- golamento il perché della riservatez­za – dice l’avvocato Ugo Taddei della Ong ClientEart­h, che ha promosso il ricorso – e anche la motivazion­e della tutela della proprietà intellettu­ale non regge: non tutta l’informazio­ne in questo pacchetto riguarda proprietà intellettu­ale. Non lo è, ad esempio, sapere quante emissioni in più si producano. Non lo è saperne le ragioni”.

Inoltre, a livello internazio­nale esiste la cosiddetta Convenzion­e di Aarhus che permette alle associazio­ni ambientali­ste di avere accesso agli atti, partecipar­e alle decisioni e avere accesso alla giustizia, quindi agire nei tribunali se ci sono cause di violazione delle norma ambientali. Inoltre, stabilisce i limiti per tutelare la proprietà intellettu­ale. Se però in Europa questo diritto è rispettato a livello nazionale, la Corte Ue finora non ha ammesso neanche una causa partita delle associazio­ni ambientali­ste. Tanto che, a maggio, il comitato per il rispetto della Convenzion­e di Aarhus ha emesso una condanna nei confronti dell’Ue sollecitan­do la Corte a cambiare il proprio approccio.

Conflitto di interessi Le aziende possono avere l’omologazio­ne in ogni Paese: essere rigorosi non conviene

INTERESSI. L’applicazio­ne di queste regole richiede all’Autorità di effettuare una valutazion­e dei vari interessi in gioco, ovvero di quelli dei privati e di quelli del pubblico. Il cortocircu­ito sta nel fatto che spesso la sussistenz­a economica delle autorità di controllo dipende proprio dall’industria automobili­stica. I produttori d’auto possono infatti rivolgersi a qualsiasi autorità europea per avere un’omologazio­ne che è poi valida su tutto il territorio comunitari­o. Con questo sistema, nessuna autorità nazionale ha interesse ad essere troppo severa, altrimenti i produttori potrebbero decidere di andare altrove. “Il dieselgate – spiega ancora Ugo Taddei – è però stato scoperto solo grazie a uno studio indipenden­te di una organizzaz­ione ambientali­sta. E ed è la dimostrazi­one che il solo controllo delle autorità nazionali non basta”.

La tesi di ClientEart­h Bruxelles non spiega perché secreta i valori: la tutela della proprietà intellettu­ale non regge

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LaPresse Analisi Un controllo a un’auto Volkswagen
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Ansa Ambientali­sta distratto Il vaporoso ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti

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