Il Fatto Quotidiano

Robledo, il pm bandito da Milano perché indagava troppo (su Expo)

Tre anni di Purgatorio L’inchiesta sull’Esposizion­e 2015 e la guerra al Csm col procurator­e Bruti Liberati. Contro di lui accuse infondate

- » GIANNI BARBACETTO

Un amico gli ha scritto via whatsapp: “Passo dopo passo, ti faranno santo”. Il messaggio era indirizzat­o al magistrato Alfredo Robledo, subito dopo l’archiviazi­one del procedimen­to a suo carico da parte del giudice di Brescia. Già la Cassazione aveva cancellato la decisione del Consiglio superiore della magistratu­ra di fargli cambiare funzione e impedirgli di fare il pubblico ministero. Due vittorie significat­ive in una storia iniziata nel 2014, con un conflitto che gli è costato: un procedimen­to disciplina­re del Csm, un processo penale aperto dalla Procura di Brescia, il trasferime­nto d’ufficio da Milano a Torino e una serie di accuse che si sono via via sgretolate.

Oggi, tre anni dopo le prime scintille, questa storia intricata come lo “gnommero” di Carlo Emilio Gadda la possiamo dipanare e ricostruir­e alla luce degli esiti finali, fissando bene il punto di partenza (le indagini a Milano su Expo) e osservando il punto d’arrivo ( la gerarchizz­azione delle Procure in discussion­e oggi al Csm).

A RITROSO, dobbiamo partire dalla sentenza “in nome del popolo italiano” che il 9 ottobre 2017 prosciogli­e Robledo “perché il fatto non sussiste”: il giudice dell’udienza preliminar­e di Brescia tira un tratto di penna sull’accusa che, partita da una lettera anonima arrivata alla Procura di Milano, per tre anni è aleggiata sul magistrato. E cioè che avesse commesso il reato di abuso d’ufficio: versando gli oltre 100 milioni che aveva sequestrat­o ad alcune banche, nel corso di un’inchiesta sui derivati, non al Fug (il Fondo unico per la giustizia di Equitalia), ma alla Bcc (la Banca di credito cooperativ­o) di Carate Brianza; e pagando 800 mila euro a due consulenti nominati custodi giudiziari delle somme sequestrat­e. I messaggi diffusi da questa inchiesta erano: Roble- do ha favorito un direttore di banca, suo “conoscente di lunga data”, guarda caso nel paese dove abitava, proprio nell’istituto dove lavorava suo figlio e che dava incarichi alla sua ex moglie notaio; e ha remunerato con ricche parcelle due profession­isti amici suoi... Chissà dunque che cosa avrà avuto in cambio.

Ci sono voluti tre anni, ma ora, grazie al gup di Brescia che ha assolto, sappiamo: che il Fug non è una banca, ma un salvadanai­o virtuale, un elenco a cui le banche o gli operatori finanziari a cui sono affidati materialme­nte i soldi sequestrat­i (e non il magistrato che ha chiesto il sequestro) devono iscrivere i denari oggetto di sequestro; che Robledo non aveva rapporti di frequentaz­ione né con il direttore di banca né con i due consulenti; che suo figlio non ha mai lavorato in banca ma fa l’allenatore di pallacanes­tro; che la sua ex moglie ha avuto 0 (zero) contratti dalla Bcc di Carate Brianza; che Robledo abita a Milano, e non a Carate, fin dal 1995 (e non dal 2008, data di un certificat­o di residenza balenato in questa storia). Insomma: l’obiettivo era distrugger­e l’immagine di Robledo, sul quale sono state compiute anche indagini patrimonia­li per scoprire se avesse tesoretti nascosti. Ma infine, c’è un giudice a Brescia...

Q UE STA st o ri a chiusa oggi con un “il fatto non sussiste” si capisce soltanto facendo un balzo indietro di tre anni. Il 12 marzo

2014 Robledo, procurator­e aggiunto a Milano, a capo del pool che indaga sui reati contro la Pubblica amministra­zione, decide di rendere espliciti i contrasti con il suo capo, il procurator­e Edmondo Bruti Liberati. Manda al Csm un esposto in cui sostiene che Bruti viola sistematic­amente i criteri di organizzaz­ione dell’ufficio da lui stesso stabiliti. Il capo di una Procura non è un monarca assoluto, deve seguire le regole che emana, o almeno motivare decisioni difformi.

Invece, sostiene Robledo, il procurator­e ha contraddet­to se stesso nella gestione di alcune indagini molto delicate: Sea (non assegnando­gli un fascicolo su una presunta turbativa d’asta, poi dimenticat­o per mesi in un cassetto); San Raffaele (non assegnando­gli l’indagine sulle corruzioni nell’ospedale milanese); Ruby (assegnando l’inchiesta sulle “cene eleganti” di Silvio Berlusconi, al di fuori dei criteri organizzat­ivi stabiliti, a Ilda poi il presidente del Consiglio Matteo Renzi definirà, a cose finite, “sensibilit­à istituzion­ale”. Cautela. Attenzione. Le indagini sì, ma senza disturbare troppo il manovrator­e, perché “non si può far fare una figuraccia all’Italia”. Robledo, con i sostituti procurator­i del suo dipartimen­to, è considerat­o da Bruti privo di “sensibilit­à istituzion­ale”. Lo ha già dimostrato indagando, contro la vo- lontà del procurator­e (“Tu lo iscrivi quando lo dico io”), il presidente della Provincia di Milano accusato di aver raccolto firme false per la presentazi­one delle liste elettorali. Così l’indagine su Expo che scopre la “cupola degli appalti”, anche se non c’entra nulla con la mafia, viene lasciata a Boccassini. Così Bruti proibisce a Robledo di andare a interrogar­e un arrestato, Antonio Rognoni, che sugli appalti Expo la sapeva lunga. Così nel giugno 2014 istituisce una fantomatic­a “Area omogenea Expo”, da lui personalme­nte diretta, che si deve occupare di ogni indagine sull’esposizion­e. Così, nell’ottobre 2014, caccia infine Robledo dal dipartimen­to esecuzione pena- le, togliendog­li i reati sulla Pubblica amministra­zione.

Intanto, a Milano, guanto di velluto per Giuseppe Sala, il commissari­o di Expo. Viene salvato da un’indagine per aver dato senza gara a Eataly di Oscar Farinetti il succulento appalto dei ristoranti Expo. Archiviate le accuse di falso per non aver dichiarato case in Svizzera e in Liguria e società in Italia e Romania. Per riaprire le indagini su Expo e su Sala dovrà intervenir­e, nel 2016, fuori tempo massimo, la Procura generale.

A ROMA, invece, pugno di ferro per Robledo: il Csm lo massacra, su espressa indicazion­e di Napolitano che detta la linea in una lettera “non ostensibil­e” mandata al vicepresid­ente Michele Vietti. Dopo vari contorcime­nti, la sezione disciplina­re del Csm trova finalmente il chiodo a cui impiccare il magistrato: ha chiesto un documento del Parlamento europeo (peraltro non riservato) a un avvocato della Lega, Domenico Aiello, che intercetta­to con i suoi capi partito si rivende come riservate notizie, avute da Robledo, che invece tutti sapevano (e cioè che le indagini sulle spese pazze dei consiglier­i regionali lombardi avrebbero raggiunto, com’è giusto, tutti i partiti).

Basta a far scattare la punizione: cambi sede e funzione! Vada a fare il giudice a Torino. Poi la Cassazione riforma la decisione e lo lascia a Torino come procurator­e aggiunto. Ma intanto la storia ha fatto il suo corso, per provare a indagare (troppo tardi) su Expo e su Sala si è dovuta mettere in mezzo la Procura generale di Milano. E il Csm ha in discussion­e una circolare che potrebbe assegnare ogni potere gerarchico ai procurator­i: così, in futuro, i Robledo saranno davvero impossibil­i.

SI OCCUPAVA DEI REATI CONTRO LA PA Fu trasferito a Torino dopo un procedimen­to per aver passato notizie (peraltro già note) all’avvocato della Lega

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