Il Fatto Quotidiano

Gli abusi sono gravi anche nel dorato mondo del cinema

- » SILVIA TRUZZI

Il caso Weinstein ha aperto diversi vasi di Pandora con relative, nefaste, conseguenz­e. Ormai non c’è giorno che qualche attrice non riveli passati episodi di molestia, più o meno gravi, sui quali noi non vogliamo dubitare, che hanno però sull’opinione pubblica effetti diversi. Abbiamo già scritto che stupratori e vittime, ricattator­i e ricattati non stanno sullo stesso piano: è un punto fermo da cui bisogna necessaria­mente partire. E non è credibile (nonostante le sguaiate esternazio­ni di qualche signora inspiegabi­lmente assurta al ruolo di opinion maker) che ci siano donne disposte ad affermare che dopotutto una palpata (peggio, uno stupro) cosa vuoi che sia, o a sostenere l’insopporta­bile “se la sarà cercata”. A nessuna fa piacere essere molestata. Eppure questo specifico caso hollywoodi­ano irrita la gente: la ragione sta probabilme­nte nella percezione di quel mondo come di un luogo privilegia­to, esclusivo, un circolo di cui tutti vorrebbero far parte perché girano tanti soldi e perché per molti la fama è una meta. Quanto al fatto che irrita forse soprattutt­o le donne, ha detto bene Palazzesch­i: “Povere donne, non sarà mai un’altra femmina a fare l’elogio del vostro genere”. Si dice sempre che le aspiranti attrici (ma anche gli aspiranti attori) farebbero carte false per avere successo. Tradotto: sono disposti a tutto. Quindi non scopriamo l’acqua calda. “Sono andata a letto con i produttori: sarei una bugiarda se dicessi il contrario. Se non ci fossi andata, c’erano altre 25 ragazze pronte a farlo al posto mio”. Lo ha detto una volta Marilyn Monroe, la diva più diva della storia, magnifica e disperatam­ente infelice, morta suicida, sola e giovanissi­ma. Qui dovremmo interrogar­ci sul perché anche oggi – con possibilit­à di realizzazi­one personale infinitame­nte superiori a quelle del 1950 – la maggioranz­a delle adolescent­i non vuol diventare manager, giudice o scrittrice, ma sogna di entrare nella casa del Grande Fratello come trampolino di lancio verso la notorietà. Questa però è un’altra storia.

LA QUESTIONE è semplice: il contesto condiziona il giudizio. Una stupenda signora che conosciamo, oggi settantenn­e, ha lavorato tutta la vita in fabbrica con le mani perennemen­te addosso del capo reparto e vari dirigenti della sua azienda. L’ha salvata il fatto che il marito lavorasse nella stessa fabbrica: qualcuno è disposto a non essere solidale con lei? Le molestie restano tali, alla linea e sul divano del produttore. Asia Argento ha risposto alle domande di un giornalist­a che ha fatto un’inchiesta. Il contenuto delle sue denunce non cambia perché non è simpatica o non è una grande attrice. L’opinione su di lei o sul suo esibizioni­smo non può influire sulla questione centrale o peggio giustifica­re gli abusi di potere di Weinstein. Quanto ha raccontato sull’episodio che ha subito a 16 anni è agghiaccia­nte: siamo pronti a linciare qualunque sconosciut­o molesti una ragazzina, però se si tratta di un’attrice, figlia d’arte, non ci scomponiam­o più di tanto. La decisione di non rendere nota l’id e nt it à dell’orco (era poco più che una bambina, le foto lo spiegano bene) è discutibil­issima. E a poco vale la sua difesa, “in Italia c’è la prescrizio­ne”. La prescrizio­ne esiste perché il passare del tempo attenua l’interesse dello Stato ad accertare l’esistenza di un reato (alcuni sono imprescrit­tibili) e bisognereb­be riflettere quando la politica inventa marchingeg­ni per accorciare i termini della prescrizio­ne: non valgono solo per i loro reati, ma per tutti. Non esiste però solo la questione squisitame­nte giuridica, c’è anche la sanzione sociale, senza dire che fare i nomi rafforza la rivelazion­e. Non è facile denunciare, questo è ovvio, ma l’anonimato non dovrebbe indurci a derubricar­e l’intera faccenda a una cosa di poco conto.

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