Panico e forte sgomento: l’opera contemporanea a immagine degli antichi
In scena c’è una pistola, quella pistola sparerà: a parte questa logica deduzione dal sapore cechoviano (riportata sin dal cartello d’i ng re ss o, dalle maschere e dall’annuncio pre-recita, che ricorda di spegnere i cellulari), Opera panica. Cabaret tragico è puro delirio organizzato, e organizzato benissimo.
Scritta nel 2001 da Alejandro Jodorowsky, la pièce è in scena al Parenti di Milano fino al 29 ottobre, adattata, disegnata e diretta da Fabio Cherstich con un istrionico ensemble – Valentina Picello, Loris Fabiani, Matthieu Pastore, Francesco Sferrazza Papa –, cui si affiancano i Duperdu, alias Marta Maria Marangoni e Fabio Wolf, autori delle canzoni originali, suonate e interpretate dal vivo.
PANICA È L’OPERA perché omaggia il dio Pan, satiro e veggente, ma anche perché scatena, negli spettatori come negli artisti, un po’ di sano panico e sgomento, sensazioni che gli antichi attribuivano proprio alla possessione divina: “Lo spettacolo – spiega il regista– è pensato come un pastiche indisciplinato e visionario, un cabaret tragicomico come la nostra esistenza. Sul palco si alternano una selezione delle 26 mini-pièce che compongono il testo originale con songs philosophique dal sapore brechtiano, piccoli balletti e alcune video-pantomime”.
Come al luna park, in quelle case degli spettri popolate dai più strampalati mostri, in palco zompettano assurdi personaggi: due pessimisti, due ottimisti, nuotatori cani, nuotatori e cani, le prigioniere, una coppia, il signore e i suoi servi, un annegato e un gruppo di idioti che ciondolano sulle poltrone da ufficio, desidero- si di diventare intelligenti e imparare a pensare. E poi lenti deformanti, tempeste in volo, manuali per aspiranti suicidi e goffi tentativi di spararsi con un fucile dalla canna troppo lunga, così come troppo corta è una delle storie per poter essere raccontata.
Su questa giostra dell’orrore e della risata, ciascuno ha il “diritto di scegliersi la propria follia”: l’instabile, per dire, alterna parole d’amore alle botte alla sua bella, mentre tre generali si fanno la guerra per contendersi l’ultimo soldato rimasto, salvo poi suggellare l’armistizio con un selfie . La politica è ovvia protagonista – non l’unica – del campionario di umane scemenze, dalla falce e martello che si trasformano nel bilanciere di uno sgangherato funambolo alla macabra “cena di famiglia” con cadavere in salotto e altri nel forno crematorio. In questo sketch una linda coppietta di fascisti non riesce a mangiare in pace a causa delle grida dei condannati a morte: “Che ingrati: dove lo trovano un forno più pulito!”.
È un susseguirsi di invenzioni: esilaranti ma anche liriche (come nella scena della “donna ideale”), feroci e grottesche ma anche lievi e pensose, quando, ad esempio, si irride l’onanismo teatrale ( n e l l a g e n i a l e parodia dell’“essere o essere”), la televisione spazzatura, l’orgia pubblicitaria, il feticcio del superomismo mutuato dallo Z ar at hu st ra di Nietzsche, “un libro per tutti e per nessuno”. È intessuta di paradossi, questo come altri, la pièce, ma non facciamoci fregare: i paradossi sono figli della logica, e il nonsenso viene sempre dopo il senso. Perciò, in scena, c’è molto più cosmo che caos, più ordine che disordine: lo spettacolo è di rara precisione formale e bellezza. Pochi oggetti, uno spazio rigoroso e sobrio, un disegno luci ficcante e costumi incantevoli, firmati da Gianluca Sbicca. Persino la trama, in apparenza illogica e debordante, ha una sua coerenza e solida ossatura, tant’è che alcune storie tornano e/o hanno un andamento circolare: “Non si sa dove va, né da dove arriva”, eppure “la farsa continua senza aver bisogno di nessuno”.
LA GRANDE ABILITÀ del regista (già intelligente creatore di Operacamion , format on the roadche porta la lirica nelle piazze, incensato persino dal New York Times), degli attori e dei musicisti sta proprio nell’aver dato ordine al caos jodorowskyano, senza irreggimentarlo né, viceversa, edulcorarlo. Come ricorda l’autore: “I romani dicevano ‘Io’ indicandosi la pancia. Per loro il cervello era solo un congelatore delle idee che nascono calde all’altezza dell’ombelico. Il teatro si esprime con l’inconscio. Bisogna permettere ad esso di fluire in scena”.
Qui, dal panico surrealista ne esce un dramma satiresco contemporaneo, in perfetto equilibrio tra dionisiaco e apollineo, che tanto piacerebbe agli antichi come ai moderni, a Nietzsche come a Jodorowsky.
IN SCENALa pièce scritta nel 2001 da Alejandro Jodorowsky al Parenti di Milano adattata e diretta da Fabio Cherstich. Ne esce un dramma satiresco in cui ognuno ha “il diritto di scegliersi la propria follia”