Referendum inutile: Camere chiuse prima
LOMBARDO-VENETO Stop lavori con la scusa consultazione
■ La Lega ottiene la sospensione: settimana già finita da ieri mattina, tutti a casa. Sui territori imprenditori divisi: Confindustria sta con il governatore Zaia, Benetton invece replica: “Io non andrò al seggio”
Una seduta d’aula fissata per la mattina che si esaurisce in poche ore e riunioni delle Commissioni sconvocate, da ieri a martedì prossimo: su richiesta della Lega nord l’attività del Parlamento si è fermata in vista del referendum che si terrà in Lombardia e in Veneto. I regolamenti prevedono che un gruppo possa chiedere l’interruzione dei lavori per qualche giorno, se nessun altro si oppone. In questo caso è scattato il silenzio assenso e tutti a casa.
MA PERCHÉ UN DEPUTATO o un senatore siciliano, sardo o marchigiano devono incrociare le braccia – cosa che già fanno spesso dal venerdì al lunedì, oltre che alle feste comandate, nei ponti e per le ferie (in media di 40 giorni) – per una consultazione regionale lontana centinaia di chilometri da Montecitorio e Palazzo Madama? “È come quando gioca la Nazionale, il campionato salta una giornata, ma qui è come se si fermasse perché giocano in Coppa Milan e Verona” spiega ironicamente un parlamentare che già alle due del pomeriggio trascina alacremente il trolley verso la stazione Termini. Ma non è solo il parlamento nazionale a smobilitarsi per il referendum uscito dal cilindro dei governatori leghisti. Dopo la promozione “In ogni caso buon viaggio” lanciata da un agenzia di viaggi e un’impresa di pompe funebri offrendo sconti nel giorno del referendum, fioccano le iniziative di esercenti per stimolare i veneti a non allontanarsi da casa. “Sempre più commercianti ci stanno mettendo la faccia!” annuncia con soddisfazione il cofondatore del gruppo indipendentista Grande Nord, Roberto Agirmo. Si va dal bar pasticceria di Bassano che alle prime 50 persone che presenteranno il certificato elettorale domenica mattina offrirà cappuccino e brioches, alla profumeria di Thiene, al negozio di armi e al parrucchiere di Marcon, alle calzature di Cornedo Vicentino, che offrono il 10% di sconto. Fino al ristorante che offre dolce a fine pranzo e cena e così tanti altri.
INTANTO IL PRIMO a chiedere il conto per le spese sostenute dallo Stato nell’organizzazione della consultazione elettorale autonomista è il ministro degli Interni, Marco Minniti, nonostante il ramoscello d’ulivo teso agli organizzatori. “Quelli che si terranno domenica prossima in Lombardia e Veneto “non sono referendum secessionisti, i quesiti sono del tutto compatibili con la Costituzione, tanto che le Regioni interessate hanno stipulato un protocollo di cooperazione con il ministero dell’Interno” ha dichiarato a un quotidiano. Cosa intendesse il ministro per “cooperazione” lo si è capito in seguito quando ha presentato una fattura di due milioni di euro a Zaia e 3,5 a Maroni “per garantire la sicurezza nei seggi”.
Negozianti scatenati
In Veneto e Lombardia si moltiplicano gli sconti per chi va a votare: bar, scarpe e pompe funebri...
Tutto un altro stile rispetto al muso duro che il premier spagnolo Rajoy ha mostrato ai catalani. Dai due governatori sono arrivate reazioni contrastanti: Zaia non l’ha presa bene. Maroni fa invece buon viso a cattivo gioco: “Non è una sorpresa, sapevamo che tutti gli oneri erano a carico delle re- gioni, sono costi che abbiamo messo a bilancio”. Raffrontati ai 50 milioni di euro comprensivi dell’acquisto di 24 mila tablet, messi sul conto del Pirellone per una kermesse elettorale inutile, i prezzi di Minniti effettivamente sono da saldo.