Silvio e Graviano: guerra tra periti sull’audio del boss
Trattativa Stato-mafia Scontro sulla frase intercettata in carcere: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia”. Per i legali dice “bravissimo” Davanti ai giudici Il mafioso potrebbe non rispondere, come fece nel 2009 nel processo Dell’Utri
Per il consulente dei pm, ma anche per i periti nominati dalla Corte d’assise di Palermo, il boss Giuseppe Graviano, intercettato in carcere il 10 aprile 2016 mentre racconta fatti accaduti nel ’92, lo dice chiaramente: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia... per questo c’è stata l’urgenza”.
Per il consulente portato in aula dal difensore di Marcello Dell’Utri, invece, il capomafia non pronuncia affatto la parola “Berlusca”, ma al suo posto sussurra: “Bravissimo”.
È FORSE il punto più caldo del Graviano-pensiero, raccolto nelle 21 conversazioni intercettate all'interno del carcere di Ascoli Piceno, durante i colloqui con il camorrista Umberto Adinolfi, e ammesse nel processo sulla trattativa Stato-mafia.
Secondo la lettura dei pm di Palermo, infatti, quando Graviano parla di una “cortesia” richiesta da Berlusconi a Cosa Nostra, allude chiaramente alle stragi e al ricatto allo Stato nel biennio delle bombe: quel passaggio di pochi secondi, dunque, risulta oggi cruciale per capire fino in fondo il ruolo del l’ex premier nella convulsa stagione politico-istituzionale che accompagnò la svolta dalla Prima alla Seconda Repubblica.
Ecco perché lo scontro tra gli esperti delle trascrizioni ieri ha arroventato la vigilia dell’attesissima deposizione del padrino di Brancaccio: oggi Giuseppe Graviano si collegherà in videoconferenza con l’aula bunker di Paler- mo per rispondere alle domande del pool Stato-mafia proprio “sulle stragi, sui contatti con soggetti non appartenenti a Cosa Nostra, e su quanto questi contatti abbiano influito”.
Essendo indagato nel nuo- vo filone di indagine sulla trattativa, il boss potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere, come già fece nel 2009, quando fu chiamato nell'appello del processo Dell'Utri e rifiutò di sottoporsi all'esame, dirottando l'attenzione sulle sue condizioni di detenuto al 41-bis. Ma se parlasse?
Tra febbraio 2016 e marzo 2017, le intercettazioni di Graviano con Adinolfi hanno riempito qualcosa come cinquemila pagine di trascrizioni, nelle quali Berlusconi, le sue presunte promesse e i suoi tradimenti, sembrano essere per il boss una vera e propria ossessione, ma le divergenze interpretative emerse in aula sono solo due: la prima, quella che ruota attorno alla parola “Berlusca”, è sicuramente la più importante per le nuove ipotesi accusatorie che potrebbero sfociare dalle esternazioni del capomafia.
E di questo contestatissimo passaggio, dopo aver ascoltato tutti gli esperti, ieri il presidente Alfredo Montalto ha disposto l’ascolto in aula: la qualità dell’audio però è risultata pessima e il contrasto tra i tecnici non si è risolto.
COSÌ, ALLA FINE, Mo n ta lt o ha annunciato che la Corte risentirà il nastro in camera di consiglio per adottare le sue risoluzioni finali. E non è tutto. Perché il consulente portato in aula dall’avvocato Giuseppe Di Peri, difensore di Dell’Utri, ha contestato anche un secondo segmento della stessa conversazione, dove Graviano avrebbe pronunciato, secondo lui, la sillaba “Mi” al posto di “Bi”, che invece l’accusa legge come un diminutivo di Berlusconi.
Ora tutte le attese sono concentrate sull’udienza di oggi che potrebbe aprire nuovi scenari sul ruolo di Berlusconi nell’intera vicenda. È vero, infatti, che fino a oggi la Procura non ha mai raccolto elementi sufficienti per un suo coinvolgimento diretto, ma è anche vero che l’ombra dell’uomo di Arcore non ha mai smesso di aleggiare sullo sfondo dell’intera ricostruzione giudiziaria del dialogo Stato-mafia.