Ue-Regno Unito e i 40 miliardi dell’assegno di divorzio
Giornata cruciale ieri per Theresa May a Bruxelles per “am m or b id ire” i leader europei. I negoziati della Brexit sono bloccati sull’assegno di divorzio: May offre 20 miliardi, Bruxelles ne vuole almeno 50 o 60. Il Regno Unito non vuole impegnarsi prima di definire gli accordi commerciali, l’Ue non parla di accordi prima di avere la “firma” sull'assegno. Difficile procedere. Non aiutano i falchi che, da Londra, spingono per u n’uscita dall’Ue senza nessun accordo. Un’opzione verosimile? “I nconcepibile” per il ministro degli Interni Amber Rudd. Quello delle Finanze, Philip Hammond, si è rifiutato di contemplarla nella prossima Finanziaria. Ma il ministro per Brexit David Davis difende la necessità di prepararsi a tutto. E lo scenario da incubo del no deal comincia a essere discusso. Diversi giornali, fra cui PoliticoeFinancial Times, provano a immaginare il day after, del 30 marzo 2019. Ecco alcuni dei possibili effetti: in assenza di trattati doganali e con un incremento anche minimo nei controlli a Dover, principale snodo di arrivo dei beni dall'Europa, si arriverebbe a 27 chilometri di code. La somma di dazi e ritardi avrebbe un impatto in poche ore, con aumenti dei costi in ogni settore dell’economia.
Cancellazione di tutti i voli dal Regno Unito verso le destinazioni europee, ma anche verso gli Stati Uniti, visto che gli accordi sono con l’Unione europea.
Centinaia di migliaia di contratti legati al passporting – cioè alla possibilità di operare da Londra verso qualsiasi Paese europeo – saltano.
I cittadini britannici in Europa perdono l’accesso a lavoro, sanità e scuole pubbliche.
Gli europei nel Regno Unito godranno di maggiori garanzie se il Parlamento britannico recepirà le direttive europee sulla libertà di movimento, ma il loro status resterebbe “a discrezione” del Regno Unito.