Il Fatto Quotidiano

“Ho tanti amici gay... perciò devo capire cosa c’entro con loro”

- » TOMMASO GIARTOSIO

La presidente di Gherush92, associazio­ne non profit che si occupa di diritti umani, dichiara in un’intervista che la Commedia di Dante presenta contenuti offensivi e discrimina­tori sia nel lessico che nella sostanza e cita alcuni passi dedicati al popolo ebraico, ai sodomiti (gli omosessual­i), a Maometto. Ma scrittori, critici e opinionist­i la liquidano rapidament­e: il capolavoro dantesco ha solo gli ovvii limiti storici di un’opera che è comunque figlia del suo tempo. Entrambi sbagliano. Dante non va espunto o perdonato: va letto e compreso.

LA COMMEDIA è interament­e figlia dei pregiudizi trecentesc­hi – non poi tanto diversi dai nostri. Non esiste un pulsante che permetta di disattivar­li e godersi il poema senza venire disturbati. Dante vuole disturbarc­i. E disturbars­i. Si avventa sui pregiudizi come su un banchetto. Li fa suoi, li scompone e li digerisce. A volte li supera, per esempio quando (con gli stilnovist­i) rivendica la nobiltà d’animo come superiore a quella di sangue. Ma in genere non è questo che gli interessa. Piuttosto cerca di farne spazi, corpi. Incontrarl­i. Vuole capire in che modo lo riguardano. E in questo, sì, è esemplare. La sua fame di alterità non mira a recintare gli spazi dell’Altro (come invece fanno sia Gherush92 sia i suoi detrattori, nel proporci una Commedia depurata e igienizzat­a). Anzi vuole abbatterli. Penetrarli, farsene penetrare. Certo: non sempre ci riesce. Ma lo riconosce.

Il rapporto con l’Islam è ambivalent­e. I musulmani sono rappresent­ati nel poema come gente turpa, superba e selvaggia, tranne per Avicenna e Averroé. Che però stanno chiusi nel castello degli spiriti magni, non più nemici della cristianit­à ma membri di una comunità di eletti, una bella scola, una schiera, una filosofica famiglia, una compagnia. Ma Dante sa che l’universali­smo culturale non risolve la questione. Nel limbo c’è anche il Saladino, ma appare solo, in parte. Il suo isolamento è un implicito problema, un nodo non risolto ma dichiarato.

Con gli ebrei, poi, isolare l’Altro diventa impossibil­e. Quando Beatrice esorta i cristiani: Uomini siate, e non pecore matte, sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida!, ci senti un’intimità cruenta impen- sabile se si parlasse di musulmani. Questi non sono rivali pagani, ma parenti traditori (la colpa più grave nell’Italia dei Comuni e delle fazioni): un nemico interno. Perché il popolo ebraico è l’altra faccia dell’identità cristiana.

La Commedia è spaccata tra amore devoto per gli Ebrei del Vecchio Testamento e disprezzo per i Giudei dell’era cristiana. Nella Giudecca sono puniti i tradimenti più gravi, peggiore tra tutti quello di Giuda maciullato dal primo traditore Satana: ma una giudecca è un quartiere ebraico. Nel cuore dell’inferno c’è un ghetto – e, arrivandoc­i, Dante scopre di trovarsi esattament­e sulla verticale di Gerusalemm­e. Un’allucinazi­one degna di Bruno Schulz. Bene e male si necessitan­o come il concavo e il convesso. Non è solo antigiudai­smo, è il paradosso frastornan­te che l’i nt er o viaggio cerca di ricucire, è l’enigma di una lingua assurda, l’ebraico, forse edenica forse babelica, ugualmente urlata dai demoni e cantata dai beati: è l’illeggibil­ità di Dio.

Nel caso dei sodomiti, infine, il coinvolgim­ento con l’Altro diventa personale, ardito. Dante vuole sbattere un sodomita all’inferno? Benissimo, va a scegliere proprio il suo maestro, Brunetto Latini: nel Medioevo il rapporto gay per eccellenza era quello tra maestro e allievo. Così lo incontra. Camminano fianco a fianco, nella penombra. Si toccano. Si parlano con tenerezza. Brunetto spiega che tutti gli altri come lui sono poeti e letterati. Dante si chiede se dovrebbe scendere anche lui con Brunetto, nella pioggia di fuoco… Questo gioco di ambivalenz­e evoca un mondo in cui (secondo dati riferiti al Quattrocen­to) i due terzi dei fiorentini quarantenn­i erano stati arrestati almeno una volta per sodomia. Un mondo in cui omosessual­ità e eterosessu­alità non erano polarizzat­e come accade oggi, con quell’arroccamen­to identitari­o che tuttavia serve a ottenere diritti, ma si intrecciav­ano in mille viluppi di curiosità disprezzo paura amore. Vivere in quel mondo significav­a avere comunque “esperienze om os es s ua l i” – che fossero sessuali o meno. Significav­a portare in sé l’omofobia e il suo contrario, sempre.

IL CANTO DI BRUNETTO ci fa pensare per contrasto a quella dinamica dell’o mof ob ia qualificat­a che va per la maggiore oggi, quella di chi dice “ho tanti amici gay ma”. Ma il reato di omofobia no. Ma il matrimonio no. Ma le adozioni no. Ma non sono un omofobo. Tutto un negare diritti, ma prima ancora uno sfilarsi, un dire: questo pezzo di vita con me non c’entra. Dante è un omofobo, ma dice: “ho tanti amici gay perciò”. Perciò devo capire cosa c’entro con loro. Perciò devo lasciarmi tirare in ballo.

Non dunque un’astratta disponibil­ità di fronte a un’infinita varietà di teoriche vicende identitari­e, ma un confronto reale con quella differenza che ci riguarda perché ci resiste e ci riscrive. Ed è folle che debba insegnarce­lo uno che mette i gay all’inferno.

Discrimina­zione? Il maestro evoca un mondo (il Quattrocen­to) in cui due terzi dei fiorentini quarantenn­i erano stati arrestati almeno una volta per rapporti omosessual­i

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All’Inferno con la guida Dante, Virgilio e Brunetto Latini. Illustrazi­one di G. Doré

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