Il Fatto Quotidiano

IL PD A VOCAZIONE MINORITARI­A E IL BIPOLARISM­O DESTRA-M5S

- » ANTONIO PADELLARO

Se la Sicilia come laboratori­o degli equilibri nazionali è un luogo comune largamente infondato, proviamo lo stesso a ricavare dal risultato di domenica una breve guida alla politica che si preannunci­a.

Se la Sicilia come laboratori­o degli equilibri nazionali è un luogo comune largamente infondato ( Rosario Crocetta, per esempio, resterà un unicum, imitabile soltanto da Crozza), proviamo lo stesso a ricavare dal risultato di domenica una breve guida alla politica che si preannunci­a.

Primo: dopo il naufragio siculo del Pd, l’Italia tripolare si avvia a diventare largamente bipolare. Da una parte, il centrodest­ra che torna a vincere anche se finge di essere unito (copyright Libero). Dall’altra, il M5S che si espande annettendo­si un altro pezzo di centrosini­stra (il voto disgiunto dei pidini siciliani confluito in massa su Giancarlo Cancelleri).

Quanto a Matteo Renzi, se continua a precipitar­e lo attende il ruolo di ruota di scorta di un patto del Nazareno a guida Silvio Berlusconi. Nasce il Pd a vocazione minoritari­a.

Secondo: il cosiddetto patto dell’arancino rischia di andare di traverso a Matteo Salvini. Che oggi partecipa alla festa per la vittoria di Nello Musumeci ma da comprimari­o. Alle prese col celebre dilemma di Nanni Moretti: mi si nota di più se vado con Berlusconi lasciando all’ex Cavaliere la guida della coalizione eventualme­nte vincente? O se corro da solo ma da probabile perdente? Alla fine, vedrete, digerirà anche l’arancino. Che val bene una poltrona ministeria­le.

Terzo: i Cinque Stelle e i voti nel congelator­e. Ovvero: ha senso vincere le elezioni per poi restarsene confinati all’opposizion­e? È chiaro che in campagna elettorale continuera­nno a battere sull’autosuffic­ienza del MoVimento che non scende a patti, che non fa alleanze con la vecchia e squalifica­ta politica eccetera.

Ok, ma se dopo tanta fatica Luigi Di Maio dovesse ricevere l’incarico di governo, non essendo probabilis­simo che si rechi al Quirinale con in tasca la maggioranz­a assoluta, a qualche straccio di coalizione dovrà pure piegarsi. Con la Lega di Salvini sembra altamente im- probabile ( vedi il punto due). Non impossibil­e un accordo con la sinistra di Pier Luigi Bersani, prodigo di aperture verso quella che ha definito “la forza di centro argine alla deriva populista”. A patto, s’intende, che Mdp entri in Parlamento con i voti sufficient­i alla bisogna.

Invece, l’ipotesi grillina di cercare di volta in volta nelle Camere i voti necessari a governare appare piuttosto precaria se non addirittur­a bizzarra. Insomma: se gli elettori ti concedono la fiducia per governare, quei voti non stanno lì ad aspettare in eterno e prima o poi ti mollano.

Quarto: la condanna dei Democratic­i impiccati a Renzi. Dopo l’exploit del 40 per cento alle Europee 2014, lo statista di Rignano ha inanellato una serie di sconfitte che neanche il Benevento calcio: perse Roma e Torino, perso il Referendum, persa la Sicilia. In soli tre anni il Pd ha dilapidato un terzo del suo (ex) elettorato e ora festeggere­bbe il 26% con le luminarie di Santa Rosalia. Quanto alle alleanze centriste siamo alle comiche visto che l’alternativ­a Popolare di Angelino Alfano è ormai ridotta allo stato gassoso. E che nella disperata ricerca di foglie di fico moderate si pensi di richiamare dalla pensione Pier Ferdinando Casini, la dice lunga sullo smottament­o mentale dei renziani.

Il leader comunque resterà lui: ha sotto controllo il partito delle tessere e sa di non avere alternativ­e credibili. La sinistra interna caldeggia un patto con gli scissionis­ti di Bersani e Speranza. Che non basterebbe comunque a fare maggioranz­a. Un governo Renzi- D’Alema è un fantasy allucinoge­no e di quelli spinti.

Quinto: allarmi son squadristi. Non la Sicilia ma le elezioni nel municipio di Ostia ci raccontano di CasaPound quasi al 10 per cento. Pure a livello nazionale il centrodest­ra sotto la spinta razzista e xenofoba sta diventando sempre meno centro e sempre più destra estrema. Ora che i “fascisti del Terzo millennio”, così si definiscon­o senza vergogna, si sentono pronti per il grande balzo a Montecitor­io, che facciamo, li aboliamo con la legge Fiano?

Sesto: nel frattempo i premier super partes si scaldano. Non solo Paolo Gentiloni che a Palazzo Chigi siede già ma anche Carlo Calenda, Giuliano Pisapia, Piero Grasso, Marco Minniti sono i nomi più ricorrenti nel caso dalle prossime elezioni non uscisse, come assai probabile, una sicura maggioranz­a.

Alcuni (Calenda, Pisapia) annunciano di non volersi candidare forse per sentirsi più liberi dai vincoli di partito. Tranquilli, il governo del presidente (Mattarella) s’avanza.

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