LA TELEMARATONA DEI MOSTRI SAREBBE PIACIUTA A LOMBROSO
Cerasa se la prende con Crocetta, Faraone con Grasso, Miccichè è incontenibile
Posto che la vera causa del tracollo del Pd alle Regionali in Sicilia è attribuibile agli hacker di Putin, è stato spassoso veder sfilare domenica sera su La7 il lombrosario della politica a giustificazione degli exit poll.
Mentre Renzi sta presumibilmente finendo un livello di Fifa17, gente che credevi in galera da tempo si catapulta in Sicilia per officiare in diretta tv il rito anticipatorio delle elezioni nazionali, coi berlusconidi (di nuovo!) in testa, il M5S appena dietro, il Pd renzalfanico in caduta libera.
Dallo studio di Mentana, fa subito il punto il direttore del Foglio Cerasa, lucidissimo: la colpa è di Crocetta, cioè di uno fatto fuori mentre per statuto doveva essere automaticamente ricandidato e che è stato convinto da Renzi a non rompere le scatole in cambio di un seggio in Parlamento. Inoltre, il M5S passa dal 18 al 30%, quindi “registra un dato grave”, cioè ha perso, peraltro “inspiegabilmente”. Quando si dice il potere dell’analisi.
Da Palermo si collega il sottosegretario alla nostra Salute Davide Faraone, che “ci mette la faccia”, come se non fosse un’aggravante. Esordisce: “La prima considerazione che mi viene da fare”, quindi presumibilmente la più intelligente, “è che Micari ha avuto il coraggio che non ha avuto Grasso”, colpevole di aver distrutto il “modello Palermo” che avevano in mente gli strateghi del partito per trionfare. Figuriamoci le successive. Marcello Sorgi gli ricorda che il candidato governatore era lui, prima che Alfano imponesse Micari. Tutto serio, dà ad intendere che sì, il Pd aveva questa Ferrari in garage, ma ha preferito mettere in pista la Panda Micari per “allargare”; del resto quando uno è, come Renzi, disinteressato ai numeri e incline al bene collettivo, si corrono di questi rischi. Conclude dicendo che “l’elettorato ha valutato come ha amministrato il centrosinistra negli ultimi anni”, evidentemente ignaro che il centrosinistra sono loro.
Esce Faraone e arriva Gianfranco Miccichè, già ministro e viceministro di B. e sottosegre- tario del governo Letta (!), capo del partito Grande Sud ergo rientrato in Forza Italia che è alleata della Lega Nord. Nonostante lo stato in cui si trova, concede una intervista lunghissima. È incontenibile. La vittoria di Musumeci lo galvanizza, sebbene nel 2012 gli corse contro. Sotto il maglioncino color carne di una taglia più piccola palpita il cuore azzurro: “Nella vita ho imparato che è meglio essere inseguito che inseguire”, che deve essere una frase in codice di quelli di Forza Italia. Si schermisce quando gli si ricorda che lui è l’uomo dei 61 collegi a 0 vinti dal centrodestra di B. alle politiche nel 2001: “Voglio essere ricordato per la Palermo-Messina”, che non si capisce se è una strada o una tratta di sostanze eccitanti. A naso, la prima.
Schifani è in gran forma: in giacchetto da centro anziani, ci tiene a prendere le distanze da Alfano l’appestato (le ele- zioni in Sicilia sono strane, a un certo punto non si sa più se Alfano ha fatto perdere il Pd o se il Pd ha fatto perdere Alfano), lasciato “in tempi non sospetti”. Vero: Schifani abbandonò Ncd nel lontanissimo 2016. È radioso per aver “aiutato i suoi amici in Sicilia” e aver ritrovato in Fi “una grande famiglia” (parola straniante in questo contesto), un partito pieno dei “valori che ho sempre sposato” ma anche di “rinnovato entusiasmo” (chissà se l’apertura delle indagini su B. mandante delle stragi del ’93 può essere ascritta ai vecchi valori o al nuovo entusiasmo). Premio della critica a un certo Pogliese, diventato famoso per essere finito in effigie sulla torta del “patto dell’arancino” tra B., Salvini e Meloni. Capello phonatissimo, sguardo marpione, cravatta da kit del candidato, ci fa sognare un ritorno della Forza Italia degli anni d’oro.
C’è pure Schifani che esulta per il flop di Alfano e dice di averlo lasciato in tempi non sospetti: nel 2016...