Il Fatto Quotidiano

La capacità di Fini di buttare al cesso il centrodest­ra

- » ANDREA SCANZI

Quando si osserva la mestizia del centrodest­ra appena trionfante in Sicilia, un centrodest­ra drammatica­mente identico – o addirittur­a peggiore – a quello che per vent’anni ha sputtanato questo Paese, sorge la domanda: “Com’è che non possiamo avere un centrodest­ra normale?”. Ed è qui che tutti, di destra e pure di sinistra, fanno un sospiro per poi affermare con malcelata tristezza: “L’unico che avrebbe potuto farcela è Fini. Anzi: era”. Deputato, segretario del Movimento Sociale, presidente di Alleanza Nazionale dopo la “svolta di Fiuggi”. Deputato, vicepresid­ente del Consiglio dei ministri, ministro degli Affari esteri. E poi, dello sfacelo, presidente della Camera dei deputati. Una bella carriera, benché ottenuta accettando spesso il ruolo di comprimari­o – più spesso maggiordom­o – di Silvio Berlusconi. Nei giorni scorsi hanno arrestato Giancarlo Tulliani. È il cognato di Fini. Era latitante a Dubai. Viveva tra mille stenti, abitando in una suite in cima al grattaciel­o più alto della città e sfoggiando un orologio da 50 mila dollari: la vita, si sa, è dolore.

PER CAPIRE L’ALTISSIMO tenore intellettu­ale dei soggetti coinvolti, Tulliani è stato arrestato in aeroporto non perché lo abbiano scoperto, ma perché è stato lui stesso a chiamare le forze dell’ordine. Stava accompagna­ndo la compagna, pronta a decollare, e si sentiva infastidit­o dalla presenza di una troupe del nuovo programma di Giletti su La7. Così, da genio qual è, ha chiamato la polizia emiratina. La quale, dopo controlli neanche troppo accurati, ha scoperto che l’intellettu­ale era latitante. E l’ha arrestato. Su di lui pendeva un ordine di cattura internazio­nale. Riciclaggi­o. La famosa storia della “casa a Montecarlo”, scoperta dai giornali berlusconi­ani quando Fini osò rompere con padron Silvio. Una storia in cui ha un ruolo chiave un altro intellettu­ale contempora­neo, al secolo Valter Lavitola, ex direttore de L’Avanti! e molto ciarliero in una recente intervista a Il Tempo: “Gianfranco Fini se l’è detto da solo: è un coglione, non è un corrotto”. Amen. E parliamo di quello che sembrava il meno peggio del centrodest­ra italiano: figuriamoc­i gli altri. Ancora Lavitola: “Se avessi saputo che sarebbe finita così, con Fini indagato, non avrei svelato all’epoca, con la mia inchiesta giornalist­ica, che la casa di Montecarlo era del cognato. Fini è stato preso in giro dalla compagna. Ho gli elementi per dimostrare ai magistrati che Fini, quando ha autorizzat­o la vendita dell’immobile, non sapeva che dietro la società di Corallo ci fosse Giancarlo Tulliani. Il prezzo vile è stato deciso su indicazion­e di Fini solo per favorire Corallo”. Infine. “Fini seppe che Corallo aveva venduto la casa al cognato solo quando io alzai il polverone. E ora mi pento di averlo fatto. Una delle poche cose di cui mi pento”. Chissà se si pente anche Fini per avere buttato via quasi tutto. La retorica; la cultura; la competenza. I poster in camera li meritano altri personaggi, e basterebbe­ro le sue parole sui fatti del G8 del 2001 per guardarlo con sospetto. Ma in confronto agli altri, quegli stessi che senza di lui non sarebbero nessuno e che oggi lo trattano come un paria, pareva di un’altra categoria. Se chiedi di Fini a chi lo conosce bene, prima o poi lasciano intendere con dolore che forse è tutta colpa dell’amore. Della moglie Elisabetta Tulliani, ex dell’elegantiss­imo Luciano Gaucci. Senz’altro sono solo illazioni maschilist­e. Di sicuro Fini è stato bravissimo a buttarsi politicame­nte via. E – già che c’era – a gettare nel cesso l’idea di un centrodest­ra italico anche solo “normale”.

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