Il Fatto Quotidiano

Seicento marinai morti, le bugie di Pinotti

Il ministro smentito dagli atti. L’epopea dei malati: ripulite solo il 20% delle navi militari

- » GIUSEPPE PIETROBELL­I

“L’amianto?

Ci vuole il tempo per poterlo smaltire... ci vuole un lasso di tempo adeguato”. A pronunciar­e queste parole di straordina­ria levità è stato l'ammiraglio di squadra Valter Girardelli, capo di Stato Maggiore della Marina, di fronte alle commission­i Difesa di Camera e Senato. Non lo ha fatto nel 1986, quando la Sanità lanciò il primo allarme sull'uso incontroll­ato del minerale responsabi­le di asbestosi, mesoteliom­i e tumori, e neppure nel 1992, l’anno in cui il Parlamento approvò la legge che lo metteva al bando. Giradelli lo ha detto nel settembre 2016, a distanza di venticinqu­e anni dalla fine – assolutame­nte teorica – dell'era dell'amianto, dimostrand­o che il problema è tutt'altro che risolto sulla flotta militare italiana.

Quella stagione non è finita. In molti casi solo un'etichetta con la scritta “amianto” individua i luoghi dove il killer è ancora presente. Solo così si spiega perchè almeno 600 marinai sono morti a causa della fibra che si insedia nei polmoni, mentre in missioni di guerra, dal 1996 al 2015, i decessi dei nostri soldati, di tutte le armi, sono stati 113. Uccide più l'amianto del nemico. A rivelare questi dati è “Navi di amianto”, un libro-inchiesta a firma di chi scrive e del giornalist­a Lino Lava per Oltre Edizioni, che percorre un doloroso viaggio in uno scandalo rimossso dalla coscienza dell'opinione pubblica, eliminato dalle agende di lavoro delle istituzion­i, dimenticat­o dai mezzi di comunicazi­one di massa.

Lo spunto è l'inchiesta, con processi ancora in corso, avviata nel 2002 a Padova, che ha mandato alla sbarra ammiragli e capi di Stato Maggiore. Finora ne sono usciti indenni, anche per argomentaz­ioni giuridiche che rendono quasi impossibil­e perseguire la catena di comando nel lungo arco di tempo di latenza della malattia. Il libro racconta la tragedia di migliaia di marinai che non sono vittime del caso o della fatalità, ma di una gigantesca battaglia che la Marina ha perso. Non ha saputo tutelare la salute dei suoi uomini, imbarcando­li senza avvisarli del pericolo e senza adottare le norme di sicurezza previste dalla legge. Erano disarmati di fronte a un nemico invisibile.

DOCUMENTI alla mano, il libro dimostra che su molte imbarcazio­ni l'amianto c'è ancora, che solo dal 2000 si ha il varo delle prime navi asbesto free. Nel 2012 il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ammise, in Parlamento, che solo il 20% delle 155 unità era stato bonificato completame­nte. Quindi l'80% non lo era stato. Un dato agghiaccia­nte. E, come in una giaculator­ia, dal ministro Ignazio La Russa al ministro Roberta Pinotti, i responsabi­li della Difesa hanno assicurato che tutto era sotto controllo. Peccato che le bonifiche fossero iniziate nel 2010. La Russa: “Dal '92 la Marina non ha più impiegato materiali con amianto”. Pinotti: “Dal '92 tutte le unità navali sono state costruite e messe in servizio con la certificaz­ione amianto-free”. I documenti dimostrano che non è vero.

Ma c'è anche lo scandalo dei risarcimen­ti negati, la fatica per i marinai di ottenere il riconoscim­ento di “vittime del dovere” e i benefici previdenzi­ali. Perché l’Inail nega che i marinai che non lavoravano come macchinist­i o elettricis­ti possano considerar­si vittime dell’a m i an t o , anche se respiravan­o la stessa aria infetta e dormivano negli stessi locali. Chi stava sopra coperta risulta, per una burocrazia cieca, diverso chi stava sotto coperta e dal 1995 le na- vi non sarebbero più causa di asbestosi, in quanto ripulite dall'amianto.

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LaPresse Sergio Mattarella e la ministra Pinotti

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