La rivoluzione russa con le parole eretiche dei vinti della storia
Si celebra oggi il centenario dell’Ottobre che cambiò il mondo
Larivoluzione vista con gli occhi e i destini dei suoi eretici. Bello l’angolo di visuale che la rivista M icr oMeg a sc egl ie per celebrare il centenario della Rivoluzione d’Ottobre, quel 7 novembre (25 ottobre per i russi) che per decenni ha fatto vibrare di orgoglio e speranza il “fu” popolo comunista.
Bello perché, innanzitutto, non si adegua al discorso conservatore secondo cui la rivoluzione bolscevica è l’origine dei mali del Novecento, gemello diverso del nazismo e con quello responsabile dei lutti del
“secolo breve”. Sulla presunta somiglianza tra comunismo e nazismo si è scritto molto senza che la similitudine sia mai stata fondata se non su una versione idealistica della storia.
MA LA SCELTA degli eretici permette di tenere aperta l’ipotesi controfattuale della storia, “cosa sarebbe accaduto se...”. E di se, i personaggi scelti dalla redazione di Paolo Flores d’Arcais, ne hanno posti molti: Rosa Luxemburg, Trotsky, i marinai di Kronstad, l’opposizione operaia dentro al partito bolvescico, Antonio Gramsci nel comunismo occidentale e altri ancora. Scriveva Walter Benjamin che “occorre salvare i vinti dall’oblio della storia” e quindi l’operazione è meritevole. L’almanacco speciale di Micromega, del resto, comincia con un brano tratto da un libro mai pubblicato in Italia, Six Red Months in Russia scritto da Louise Bryant. Il suo nome è più noto se lo si affianca a quello del marito, John Reed, autore dei Dieci giorni che sconvolsero il mondo . Ma anche Bryant seguì da vicino quei giorni e nel testo se ne coglie l’abilità letteraria oltre che il punto d’osservazione privilegiato. Le parole di Kerenskij, capo del governo provvisorio sorto con la rivoluzione di febbraio e che sarà deposto il 25 ottobre (nel calendario russo) sembrano infiammare la sala del Congresso democratico (ultimo, fallito tentativo, di conciliare la forza dei soviet con il governo provvisorio), ma, fa notare Bryant, “un’ora dopo il suo discorso la sua influenza si era dissolta”. E se la personalità di Trotsky, come una “sorta di Marat” spiccava “veemente, simile a un serpente che ha scosso l’assemblea come un forte vento scuote l’erba”, Kamenev aveva un modo “morbido” di esprimere le sue opinioni.
I reportage di Bryant sono però solo l’antipasto di un volume che dedica una rinnovata attenzione a quelle che Flores d’Arcais definisce “le tradizioni rivoluzionarie, neglette e spesso dimenticate”, nonché “i n fa n g at e dai partiti comunisti ufficiali” e che invece “vanno ri-conosciute e ri-pensate perché possono portare ancora elementi “fecondi”.
Tra loro spicca certamente Rosa Luxemburg il cui “approccio critico” nei giorni immediatamente successivi alla rivoluzione fu guardato con superficialità da Lenin e dallo stesso Trotsky. Le critiche di Rosa, che spingeva per dare una centralità vera sia alla democrazia che alla libertà “che è sempre e soltanto la libertà di pensarla diversamente”. Rosa Luxemburg aveva già chiaro che la trasformazione socialista non è “cosa per la quale il partito rivoluzionario ha in tasca la ricetta bell’e fatta” e che invece “l’essenza della società socialista consiste nel fatto che la grande massa dei lavoratori cessa di essere diretta da altri e comincia a vivere in prima persona la vita politica ed economica”.
Era la promessa della parola d’ordine “tutto il potere ai soviet”, sposata per primo da Trotsky e fatta propria da Lenin, ma poi “t rad ita ” dalla rivoluzione stessa, sempre più imbrigliata dentro i confini della vita di partito e sempre meno vissuta direttamente dalle cosiddette masse. La promessa si infrange contro un bastione della rivoluzione stessa, la base navale di Kronstadt contro cui, nel 1921, i bolscevichi inviano, oltre a migliaia di soldati, gli stessi delegati al X congresso, quello che non a caso abolisce il diritto di frazione e di fatto impedirà qualsiasi forma di dissenso.
A FARNE LE SPESE sarà il massimo dirigente della rivoluzione, insieme a Lenin, colui che nei giorni infuocati dirige il Comitato militare rivoluzionario, ma del Soviet, non del partito. Che però si farà interprete della chiusura bolscevica post-rivoluzionaria e che poi, in nome del bene supremo del partito, verrà messo a tacere dal gruppo ormai consolidato attorno a Stalin. L’ossessione per il partito che dirige tutto, depositario della “coscienza di classe” stravolge e travolgerà la grande intuizione dell’Ottobre, quel potere democratico diffuso, di massa, autogenerato dal basso che Luxemburg e poi Trotsky di nuovo, dopo la sua cacciata dall’Urss, colgono lucidamente. Quelle intuizioni, mutando i tempi, i contesti, le ideologie, consegnano ancora all’attualità un bisogno di verificare la sostanza della democrazia e la garanzia di una partecipazione genuina alla cosa pubblica. Un’attualità che può generare solo dalle eresie vinte dalla storia. L'insurrezione, avvenuta tra il 6 e il 7 novembre (24 e 25 ottobre del calendario giuliano) del 1917 a Pietrogrado (attuale San Pietroburgo); una rivoluzione partita nel febbraio dello stesso anno. Che segnò prima il crollo dell'Impero russo e poi la nascita della Repubblica sovietica, e la presa del potere di Lenin e Lev Trotsky
L’omaggio
Il ricordo di Rosa Luxemburg, Trotsky, Gramsci che capirono cosa non deve essere una ribellione La scheda