Tra bombe e aiuti umanitari italiani double-face in Yemen
Lanuova Siria: i sauditi bombardano i ribelli Houti anche con armi vendute da Roma. Civili allo stremo senza farmaci per malattie ordinarie
Da una parte gli aiuti umanitari, gli sforzi per migliorare le condizioni di vita di una popolazione civile ormai allo stremo. Dall’altra le bombe e le armi. Una buona parte di responsabilità per entrambe le cose ce le abbiamo noi: italiani, europei, occidentali, che armiamo, seppur indirettamente, la coalizione guidata dall’A rab ia Saudita che bombarda dal marzo 2015 i ribelli sciiti Houti. In Yemen, il paese più povero della penisola arabica, si combatte un conflitto quasi “i n vi si bi l e” ma che produce una catastrofe umanitaria.
“LO YEMEN è la nuova Siria”, sostiene Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia. Una guerra causata da contrasti interni che si è trasformata in guerra per procura tra grandi potenze del Medio Oriente (Arabia e Iran). Anche sotto il profilo mediatico. “Quando si cominciava a parlare sei anni fa di Siria, c’era grande disattenzione dei media nel raccontarla quotidianamente, tanto che abbiamo avuto difficoltà a dire perché i siriani fuggivano”. Oltre 5.000 civili, di cui 1.184 bambini, sono stati uccisi e quasi 9.000 sono rimasti feriti, secondo i dati recentemente forniti dall’Ufficio Onu per i diritti umani (Ohchr). Ma soprattutto c’è l’emergenza umanitaria con la peggior epidemia di colera al mondo, che vede un milione di casi sospetti e oltre 2000 morti registrate. E che potrebbe persino peggiorare ora con la chiusura del porto di Hudaydah e dell’aeroporto della capitale Sana’a. “Oltretutto i bambini - nota Iacomini - rappresentano spesso un bersaglio dei conflitti a fuoco, persino con il cinico scopo di fiaccare le resistenze della parte avversa”. Gli obiettivi civili, compresi gli ospedali, non sono certo risparmiati dal conflitto. Quelli di Medici senza frontiere ( Msf) sono stati colpiti in più occasioni tra il 2015 e il 2016. Dopo il bombardamento dell’ospedale di Abs, a nord della capitale Sanaa, il 15 agosto 2016 che ha fatto 19 morti e 24 feriti, l’ong ha deciso di ritirare lo staff dallo Yemen.
A FEBBRAIO di quest’anno ha poi riaperto la struttura sanitaria di Haydan, anch’essa colpita dalle bombe nel gennaio 2016. Haydan si trova in una zona montuosa al confine con l’Arabia saudita. Proprio lì dove i ribelli sciiti sono più bersagliati. A coordinare il rientro di Msf c’era un medico italiano, Ro- berto Scaini, che lavora lì dal 2013. “Con lo scoppio della guerra la situazione è precipitata – racconta – dopo il grande numero di feriti, che abbiamo dovuto fronteggiare nella prima fase, è arrivato il collasso sanitario generalizzato”. Il medico testimonia come la privazione progressiva dell’accesso alle cure e ai farmaci abbia portato all ’ aumento esponenziale delle infezioni. Fino alla catastrofe del colera. “Ormai la popolazione, sempre più impoverita, non riesce neppure a comprare antibiotici o farmaci per malattie ordinarie come il diabete o l’ipertensione”, osserva il medico.
SCAINI NON È l’unico italiano che porta aiuti sanitari e umanitari in Yemen. Il paradosso è però che il governo italiano fa, seppur indirettamente, la sua parte nel conflitto. “L’Italia, insieme a Usa e altri Paesi europei, vende armi all’Arabia saudita e agli Emirati che poi attraverso il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc) – sorta di Nato araba –, decide i bombardamenti sui ribelli, a sostegno del presidente Hadi”. Così spiega la giornalista Laura Silvia Battaglia, esperta di Yemen. Secondo la relazione del governo sul commercio di armi nel 2016, l’export italiano verso i clienti sauditi vale 427,5 milioni di euro. “In Germania come nel Regno unito, l’opinione pubblica si mobilita, sollecitando la politica a vigilare sul commercio di armi. Sarebbe ora di farlo anche noi”, conclude Battaglia.