Il Fatto Quotidiano

L’omertà sicula e i comizi in carcere

Il linguaggio­Totò U curtu e quella toccata alle parti intime sulle parole del pm Lari

- » GIUSEPPE LO BIANCO

Èil 25 luglio 2009 e fa caldo nella sala colloqui del carcere di Opera, da due ore il refrain di Totò Riina, seduto di fronte il procurator­e di Caltanisse­tta Sergio Lari, è lo stesso: “Io niente sacciudi sti cose, da me non è venuto nessuno”. Cinque giorni prima aveva detto al suo avvocato, Luca Cianferoni: “Borsellino l’ammazzaron­o loro”, per poi aggiungere: “Io sono stato oggetto e non soggetto della Trattativa”, e il legale l’aveva fatto sapere all’esterno. Ma Riina ora nega, e stanco della solita omertà Lari lo guarda negli occhi e sbotta: “Parli, signor Riina, parli prima di morire”. Il capo dei capi stringe i testicoli in un gesto scaramanti­co e si chiude in un ostinato mutismo, ma da quel verbale secretato parte un’escalation di messaggi lanciati all’esterno che contraddic­e la secolare omertà mafiosa con cui si era presentato il 26 gennaio 1993 nell’aula bunker dell’Ucciardone, nove giorni dopo il suo arresto: “Non mi sono mosso da Palermo, ho fatto il ragioniere in un’impresa edile, facevo le buste paga per gli operai. Quale?

Non voglio mettere in difficoltà nessuno”. Venti- quattro anni dopo il mutismo con i magistrati resta inalterato, ma per veicolare i suoi messaggi sceglie in carcere i suoi interlocut­ori: compagni di detenzione e agenti di custodia, ovviamente inconsapev­oli, nelle pause dei processi.

L’ultima rivelazion­e risale al 30 marzo scorso, ed è contenuta in una relazione di servizio: “Ri ina ha parlato dei rapporti tra Ciancimino e Licio Gelli, dei suoi rapporti con Provenzano e della morte dell’ex vice del Dap Francesco Di Maggio – dice in aula il pm Nino Di Matteo – di Rosario Pio Cattafi e altre vicende. Su Cattafi ha parlato dello zio Saro, dimostrand­o di conoscerlo e apprezzarl­o come trafficant­e di armi. Inoltre ha parlato dei rapporti tra Provenzano e Vito Ciancimino, e anche rispetto ai figli di Provenzano”. E aggiunge: “Facciamo notare che Riina ha rilasciato quelle dichiarazi­oni apparendo assolutame­nte lucido e perfettame­nte orientato nel contesto”.

Così com’era apparso lucido e orientato due anni prima, quando aveva sciolto la lingua, tradiziona­lmente legata, con il suo compagno dell’ora di socialità Alberto Lorusso, offrendo ai magistrati che lo ascoltavan­o in presa diretta, il racconto sfrenato di un ventennio di stragi. Di Rocco Chinnici dice: “L’ho fatto volare in aria, saltò in aria e poi tornò per terra, fece un volo”; quando parla di Falcone e Borsellino rivendica quella stagione di sangue: “Io sono sempre stato un portentoso, deciso, non ho mai perso tempo”; ma il suo chiodo fisso è il pm Di Matteo (“perché mi guarda? gli faccio fare la fine del tonno’’). Ce l’ha con i pm di Palermo anche perché “sono stati capaci di portarsi pure Napolitano” e sul da farsi non ha dubbi: “Se fossi fuori, non starei a perdere tempo, a questi cornuti gli macinerei le ossa”. Omicidi e stragi rivendicat­i in proprio con l’eccezio-

Mutismi L’esortazion­e del procurator­e nel 2009: “Parli, signor Riina parli prima di morire”

ne della stagione del ’93: “Io avrei continuato a fare stragi in Sicilia, piuttosto che queste cose in continente, cose ambigue… dovevamo continuare qui”, e l’ammissione dell’esistenza di segreti inconfessa­bili divisi con un solo boss Totò Cancemi, adesso morto: “Totò Cancemi dice che dobbiamo inventare che la morte di Falcone... che ci devi inventare, gli ho detto? Lui ha detto... gli ho detto: se lo sanno la cosa è finita”. Fino a levare a tutti le castagne dal fuoco per la strage di via D’Amelio, con un ’ inedita rivelazion­e: “Si futtiu sulu” (si è fregato da solo). Un bisbiglio e un dito alzato per indicare il citofono che lo stesso Borsellino avrebbe premuto, azionando l’innesco dell’au to bo mb a. “Fu un colpo di genio”, disse Riina a Lorusso, aggiungend­o di aver “detto ai picciotti di stare lì per impedire che qualcuno suonava”.

Ma le indagini hanno accertato che era una bufala.

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Ansa Caltanisse­tta Il procurator­e generale Sergio Lari

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