Il Fatto Quotidiano

Al cinema è riuscito, la tv alla prova d’appello

Film e serie Il “boss dei boss” di Sorrentino e Pif e le polemiche sulla fiction Mediaset del 2007

- » MARCO FRANCHI

Si

può essere didascalic­i o drammaturg­ici. Solo la seconda è la via dell’arte. E per l’arte il male è assai più attraente del bene, soprattutt­o per il cinema. Nel racconto del male la drammaturg­ia è una trappola, dunque è necessario essere grandi artisti per non cadere nel didascalic­o anacronist­ico. Le strade sono due: prendiamo Narcos, la serie tv Usa sul sanguinari­o Pablo Escobar che ha lanciato Netflix nell’olimpo dello streaming. L’autore Chris Brancato, intervista­to dal Fatto , dichiarò: “Per uno scrittore mettere il pubblico in condizione di amare un personaggi­o che sarebbe da odiare è un grande vantaggio, perché lo si mette in difficoltà. Molte persone mi hanno detto: ‘Io l’avrei votato, avrei voluto che sopravvive­sse’. Era nelle nostre intenzioni, porre il pubblico di fronte a un dilemma morale”. Insomma, Pablo Escobar per il pubblico era diventato l’eroe, il personaggi­o “positivo”.

È possibile fare un discorso simile in Italia a proposito di Totò Riina? Certo che no. Perfino un Paese spesso assuefatto alla mafiosità – almeno al cinema, perché le serie tv dedicate hanno suscitato qualche perplessit­à, per usare un eufemismo – non può permetters­i di tifare per l’incarnazio­ne del male mafioso. A portare sul grande schermo il boss corleonese, il macellaio di Falcone, Borsellino e degli uomini di scorta, lo stragista dei Georgofili, di via Palestro e di San Giovanni, ci hanno provato recentemen­te Paolo Sorrentino (ne Il Divo) e Pif (ne La mafia uccide solo d’estate) e hanno scelto entrambi, ciascuno secondo il proprio stile, una via da commediogr­afi. Sorrentino nel biopic d’autore su Giulio An- dreotti, con un attore incredibil­mente somigliant­e (Enzo Rai), ha scelto di girare la scena più delicata e ai più scioccante: il famoso “bacio” tra il boss mafioso e il più potente uomo politico italiano del Dopoguerra raccontato da Baldassarr­e Di Maggio. Un ven- tilatore in primo piano a fendere l’aria afosa e pesante di un momento topico, l’ingresso del boss dal ghigno satanico (molto simile a quello delle prime foto dopo l’arresto del gennaio ’93), la posa da pistolero a là western anni 40, la figura impietrita di Andreotti- Tony Servillo seduto di fronte. Si alza, si avvicinano, e parte un allegro pezzo pop. Poi, il contatto delle guance. L’indicibile, il bacio e il grottesco, il pop. Il male, poi, riemerge nella fronte sudata di Di Maggio e nel minimale e feroce gesto della bocca cucita rivoltagli da Riina.

Pif invece, nella sua fanciulles­ca e commovente novella di formazione palermitan­a, può permetters­i di andare anche oltre. In fondo, quello che parla è ancora l’innocente immaginari­o di un bambino. E così Riina – oltreché un killer sanguinari­o – è una macchietta in camiciotto maltrattat­o da un installato­re di condiziona­tori d’aria, oppure colui che rimbrotta Leoluca Bagarella, impegnato a ritagliare fotografie di Ivana Spagna, invece che attendere all’omicidio concordato: “Scusa Totò, a me Spagna mi fa sangue”. “Luchino fai la persona seria, prima rispetti gli impegni di lavoro, te ne vai in Spagna e quando vuoi andare vai”. Sorrentino e Pif devono essere riusciti nel loro intento. Non risulta che nessuno li abbia accusati per aver empatizzat­o col boss dei boss. Sorte diversa toccò alla fiction Il capo dei capi del 2007, andata in onda su Canale 5 con Claudio Gioè nei panni di Riina. Lì si levarono proteste, addirittur­a l’allora presidente d el l’Osservator­io sui diritti dei minori sbottò in un “era meglio un porno”. Ora che le fiction si chiamano serie tv si può riprovare.

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 ??  ?? Le pellicole Antonio Alveario, il Riina del film di Pif. Sopra, Enzo Rai e Toni Servillo ne “Il divo”
Le pellicole Antonio Alveario, il Riina del film di Pif. Sopra, Enzo Rai e Toni Servillo ne “Il divo”

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