Almaviva, c’è un giudice: “Licenziamenti illegittimi”
Il Tribunale dà ragione ai lavoratori di Roma che avevano detto no all’accordo per ridursi lo stipendio (peraltro già basso): “Cacciati solo per aver rifiutato di rinunciare ai diritti più elementari”
Ilicenziamenti al call cent er romano di Almaviva sono discriminatori e pertanto quei lavoratori devono essere subito reintegrati. A un anno dal più grande allontanamento collettivo della storia recente – costato il posto a 1.666 centralinisti – per la prima volta un’ordinanza del Tribunale, pubblicata ieri, ribalta tutto e obbliga l’azienda a riprendersi i dipendenti cacciati in maniera illegittima.
Non si possono infatti, dicono il giudice, mandare a casa dipendenti solo perché questi si rifiutano di rinunciare ai loro “elementari diritti”. Di fatto, però, è quello che è successo al ministero dello Sviluppo Economico il 22 dicembre 2016, quando l’i mpresa incontrò i rappresentanti sindacali (Rsu) per chiudere una vertenza che coinvolgeva 2.500 persone: quelli della Capitale più 850 lavoratori di Napoli.
L’UNICO MODO per evitare di essere licenziati era accettare un taglio del costo del lavoro: o ti riduci lo stipendio, dicendo addio a Tfr e scatti di anzianità, o ti ritrovi disoccupato; prendere o lasciare. A quel punto il ministro Carlo Calenda e la vice Teresa Bellanova, pur avendo in precedenza detto di non voler assecondare riduzioni salariali, appoggiano l’intesa. Susanna Camusso, Anna Maria Furlan e Carmelo Barbagallo – segretari di Cgil, Cisl e Uil – vanno al dicastero di Via Veneto e pure loro benedicono le richieste del colosso dei call center. Non fila tutto liscio però: le Rsu di Napoli accettano di firmare, quelle romane, invece, non cedono e sconfessano i loro leader nazionali.
Calenda, però, festeggia lo stesso: in Campania si salvano, il fallimento della trattativa a Roma è colpa dei lavoratori e dunque i centralinisti di Almaviva nella capitale ricevono le lettere di licenziamento come regalo di Natale. Molti le impugnano, con la speranza di ottenere giustizia in Tribunale, speranza che ieri si è trasformata in realtà.
La pronuncia del giudice di Roma sorride a 153 lavoratori difesi da Pier Luigi Panici e Carlo Guglielmi (altri 500 rappresentati da altri legali aspettano l’esito per gennaio). Il ragionamento del Tribunale è, in sintesi, questo: se proprio Almaviva vuole ridurre il personale, non può decidere in maniera arbitraria chi cacciare e chi tenere. Deve, al contrario, distribuire i licenziamenti tra tutte le sue sedi produttive, rispettando la legge che impone di iniziare da chi ha meno anzianità e carichi familiari. Quale motivo porta invece a mandare a casa tutti quelli di Roma anziché seguire i suddetti criteri? “Ragioni organizzative”, dice l’azienda che ricorda di aver avuto ragione in nove precedenti ricorsi (ma questo giudice ha ritenuto non provate anche e soprattutto le ragioni organizzative).
Questa volta però non riesce a convincere il Tribunale: “È evidente – scrive il magistrato Umberto Buonassisi – l’obiettivo di Almaviva di evitare il licenziamento solo a condizione di riallineare il costo del lavoro delle sedi romane a quello delle altre sedi dove, per il più ampio ricorso al lavoro precario, questo è molto più basso”. Una scelta di convenienza: tra tutti i dipendenti, quelli di Roma sono i più pagati e più tutelati (stipendi comunque di massimo mille euro), quindi sono loro quelli da buttare fuori. A meno che non accettino la sforbiciata, s’intende.
“La scelta – recita ancora la sentenza – e quindi anche l’accordo del 22 dicembre, si risolve in un’illegittima discriminazione: chi non accetta di vedersi abbattere la retribuzione (a parità di orario e mansioni), in spregio dell’articolo 36 della Costituzione, viene licenzia- to”. Il giudice a questo punto si lascia scappare persino un commento: “Un messaggio davvero inquietante anche per il futuro”.
Dunque, benché avallata dal governo e dai segretari nazionali di Cgil, Cisl e Uil, si tratta pur sempre di una ritorsione contro i lavoratori che non accettano una “lesione dei più elementari diritti”. Come tale non è sanata nemmeno se sottoscritta dai sindacalisti: “In nessun modo – prosegue l’ordinanza – il consenso sindaca- le può divenire lo strumento per attuare scelte obiettivamente discriminatorie”. Ad esempio, sindacati e imprese non possono comprimere il diritto “incomprimibile” al trattamento di fine rapporto decidendo “che la retribuzionenon rientri in sostanza nella nozione di... retribuzione”
C’È UN ULTERIORE elemento da aggiungere: nei mesi successivi al mega-licenziamento, Almaviva continua ad assumere con contratti precari nelle altre sedi, “per un numero complessivo, circostanza pacifica e non contestata, non troppo lontano da quello dei lavoratori licenziati”. “Una vera e propria sostituzione – commenta l’avvocato Panici – con assunzione di collaboratori e interinali a Rende, Catania e Milano”.
Le commesse, del resto, non mancano e arrivano anche dal settore pubblico, ma non bastano a fermare l’aggressiva politica di riduzione dei costi di Almaviva: l’azienda annuncia ricorso e dice che “darà ovviamente attuazione all’ordinanza” riassumendo i lavoratori “presso le sedi disponibili” perché “il sito di Roma è chiuso”. Una beffa.
Sindacati “colpevoli” Camusso, Furlan & C. hanno avallato scelte “discriminatorie” della società di call center