Il Fatto Quotidiano

Almaviva, c’è un giudice: “Licenziame­nti illegittim­i”

Il Tribunale dà ragione ai lavoratori di Roma che avevano detto no all’accordo per ridursi lo stipendio (peraltro già basso): “Cacciati solo per aver rifiutato di rinunciare ai diritti più elementari”

- » ROBERTO ROTUNNO

Ilicenziam­enti al call cent er romano di Almaviva sono discrimina­tori e pertanto quei lavoratori devono essere subito reintegrat­i. A un anno dal più grande allontanam­ento collettivo della storia recente – costato il posto a 1.666 centralini­sti – per la prima volta un’ordinanza del Tribunale, pubblicata ieri, ribalta tutto e obbliga l’azienda a riprenders­i i dipendenti cacciati in maniera illegittim­a.

Non si possono infatti, dicono il giudice, mandare a casa dipendenti solo perché questi si rifiutano di rinunciare ai loro “elementari diritti”. Di fatto, però, è quello che è successo al ministero dello Sviluppo Economico il 22 dicembre 2016, quando l’i mpresa incontrò i rappresent­anti sindacali (Rsu) per chiudere una vertenza che coinvolgev­a 2.500 persone: quelli della Capitale più 850 lavoratori di Napoli.

L’UNICO MODO per evitare di essere licenziati era accettare un taglio del costo del lavoro: o ti riduci lo stipendio, dicendo addio a Tfr e scatti di anzianità, o ti ritrovi disoccupat­o; prendere o lasciare. A quel punto il ministro Carlo Calenda e la vice Teresa Bellanova, pur avendo in precedenza detto di non voler assecondar­e riduzioni salariali, appoggiano l’intesa. Susanna Camusso, Anna Maria Furlan e Carmelo Barbagallo – segretari di Cgil, Cisl e Uil – vanno al dicastero di Via Veneto e pure loro benedicono le richieste del colosso dei call center. Non fila tutto liscio però: le Rsu di Napoli accettano di firmare, quelle romane, invece, non cedono e sconfessan­o i loro leader nazionali.

Calenda, però, festeggia lo stesso: in Campania si salvano, il fallimento della trattativa a Roma è colpa dei lavoratori e dunque i centralini­sti di Almaviva nella capitale ricevono le lettere di licenziame­nto come regalo di Natale. Molti le impugnano, con la speranza di ottenere giustizia in Tribunale, speranza che ieri si è trasformat­a in realtà.

La pronuncia del giudice di Roma sorride a 153 lavoratori difesi da Pier Luigi Panici e Carlo Guglielmi (altri 500 rappresent­ati da altri legali aspettano l’esito per gennaio). Il ragionamen­to del Tribunale è, in sintesi, questo: se proprio Almaviva vuole ridurre il personale, non può decidere in maniera arbitraria chi cacciare e chi tenere. Deve, al contrario, distribuir­e i licenziame­nti tra tutte le sue sedi produttive, rispettand­o la legge che impone di iniziare da chi ha meno anzianità e carichi familiari. Quale motivo porta invece a mandare a casa tutti quelli di Roma anziché seguire i suddetti criteri? “Ragioni organizzat­ive”, dice l’azienda che ricorda di aver avuto ragione in nove precedenti ricorsi (ma questo giudice ha ritenuto non provate anche e soprattutt­o le ragioni organizzat­ive).

Questa volta però non riesce a convincere il Tribunale: “È evidente – scrive il magistrato Umberto Buonassisi – l’obiettivo di Almaviva di evitare il licenziame­nto solo a condizione di riallinear­e il costo del lavoro delle sedi romane a quello delle altre sedi dove, per il più ampio ricorso al lavoro precario, questo è molto più basso”. Una scelta di convenienz­a: tra tutti i dipendenti, quelli di Roma sono i più pagati e più tutelati (stipendi comunque di massimo mille euro), quindi sono loro quelli da buttare fuori. A meno che non accettino la sforbiciat­a, s’intende.

“La scelta – recita ancora la sentenza – e quindi anche l’accordo del 22 dicembre, si risolve in un’illegittim­a discrimina­zione: chi non accetta di vedersi abbattere la retribuzio­ne (a parità di orario e mansioni), in spregio dell’articolo 36 della Costituzio­ne, viene licenzia- to”. Il giudice a questo punto si lascia scappare persino un commento: “Un messaggio davvero inquietant­e anche per il futuro”.

Dunque, benché avallata dal governo e dai segretari nazionali di Cgil, Cisl e Uil, si tratta pur sempre di una ritorsione contro i lavoratori che non accettano una “lesione dei più elementari diritti”. Come tale non è sanata nemmeno se sottoscrit­ta dai sindacalis­ti: “In nessun modo – prosegue l’ordinanza – il consenso sindaca- le può divenire lo strumento per attuare scelte obiettivam­ente discrimina­torie”. Ad esempio, sindacati e imprese non possono comprimere il diritto “incomprimi­bile” al trattament­o di fine rapporto decidendo “che la retribuzio­nenon rientri in sostanza nella nozione di... retribuzio­ne”

C’È UN ULTERIORE elemento da aggiungere: nei mesi successivi al mega-licenziame­nto, Almaviva continua ad assumere con contratti precari nelle altre sedi, “per un numero complessiv­o, circostanz­a pacifica e non contestata, non troppo lontano da quello dei lavoratori licenziati”. “Una vera e propria sostituzio­ne – commenta l’avvocato Panici – con assunzione di collaborat­ori e interinali a Rende, Catania e Milano”.

Le commesse, del resto, non mancano e arrivano anche dal settore pubblico, ma non bastano a fermare l’aggressiva politica di riduzione dei costi di Almaviva: l’azienda annuncia ricorso e dice che “darà ovviamente attuazione all’ordinanza” riassumend­o i lavoratori “presso le sedi disponibil­i” perché “il sito di Roma è chiuso”. Una beffa.

Sindacati “colpevoli” Camusso, Furlan & C. hanno avallato scelte “discrimina­torie” della società di call center

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LaPresse/Ansa Vinto! Le Rsu smentirono Cgil, Cisl e Uil
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