L’INDIFENDIBILE DIFESA UNICA EUROPEA
Utopia déjà vu Riproposto un esercito comune: inutile, ma fa gola il budget e il “postificio” a Bruxelles
Ci risiamo. Ogni volta che si apre una campagna elettorale (e da noi se ne è aperta una tanti anni fa e non è mai finita) si ripropone il sogno dell’Esercito europeo. Come al solito, si tira in ballo la Comunità Europea di Difesa (Ced) varata nel 1952 e affondata nel 1954. In realtà tutte le iniziative avviate da allora non hanno mai avuto nulla a che vedere con la concezione della Ced. L’Esercito europeo di allora doveva essere formato da 6 divisioni (una per ogni Stato: Italia, Francia, Repubblica federale tedesca, Belgio, Olanda e Lussemburgo), in sostituzione degli eserciti nazionali. Era agli ordini di un solo ministro della Difesa e agiva nel quadro della Nato. Doveva essere il collante “nobile” per la nascita dell’Unione europea all’insegna della Sicurezza e non delle botteghe. Gli americani si erano inizialmen- te opposti, poi si resero conto che la “loro” sicurezza in Europa senza la Germania sarebbe stata fallace e lo avallarono. A quel punto la Francia si ritirò e tutto svanì nel nulla. Un “nulla” che dura ancora oggi nonostante le periodiche millanterie. L’Esercito europeo non è mai nato. È “stato per” nascere (come direbbe il Napalm51 di Crozza) nel 1952, ma dopo il suo fallimento è stato citato sempre a sproposito. I vari progetti che lo prendevano a modello non miravano alla sicurezza del continente, ma agli affari e al “postificio” per politici, diplomatici e militari.
L’ultima versione sbandierata in questi giorni non fa eccezione. Non è un esercito che ne sostituisce altri. Non fa risparmiare e non fa economia di scala. Non consente all’Unione di avere una propria politica di sicurezza e non garantisce la difesa comune. Non s’inserisce nella Nato come polo di riferi- mento della politica estera e nemmeno come pilastro continentale dell’alleanza atlantica. Non è un’organizzazione di sicurezza integrata, ma solo un “budget”: un ennesimo portafoglio col quale finanziare progetti più o meno comuni di armamenti e avventurismi esterni. È quel budget che gli Usa da anni ci chiedono di aumentare per garantire la “lo- ro” sicurezza in Europa.
Il budget europeo fa gola a molti: il fatto che si chiami “europeo” lo fa sembrare una elargizione esterna. In realtà viene dalle tasche dei contribuenti. Ogni progetto sarà finanziato col nostro denaro e non è detto che i benefici siano proporzionali alla spesa. Nei giochi europei bisogna esser bravi e credibili per guadagnarci e spesso noi ci siamo indebitati per raccogliere le briciole.
Anche lo scopo dichiarato del “nuovo” progetto è ambiguo. La “difesa dei confini” è ormai una figura retorica della sicurezza. Per difenderli bisogna sapere dove finiscono i confini dell’Europa e chi li minaccia. Se si pensa di difendere con il budget d el l ’ esercito europeo i confini marittimi e terrestri del nostro continente dalla cosiddetta “m inaccia migratori a” si deve fare qualche calcolo accurato delle forze necessarie e studiare un po’meglio il diritto internazionale, se non altro per evitare che i comandanti militari finiscano sotto processo. Se si pensa che la minaccia di aggressio- ne militare e terroristica provenga da Russia, Siria, Iran e Libano (“nemici” che ci sono stati imposti) bisognerebbe aumentare a dismisura il budget, nonché individuare con obiettività chi ai nostri confini ha armamenti, capacità e volontà di destabilizzarci, attaccarci e minare la coesione e la sicurezza europea. Un’analisi seria e indipendente d im os tr er eb be che la minaccia più credibile e temibile viene proprio dall’interno dell’Unione, dai nostri alleati e dai presunti amici a oriente, a occidente e sull’altra sponda del Medietrraneo. E l’esercito europeo non sarebbe il nostro sogno, bensì il nostro incubo.
La minaccia più credibile e temibile viene dai presunti amici a Oriente, a Occidente e a Sud