Il Fatto Quotidiano

Il Papa parla di fine vita: “Medici, non accanitevi”

Nonèunasvo­lta ma una conferma di un filo che parte dal 1923 e da Pio XI Francesco parla a chi, nella destra clericale, ancora specula sul fine vita

- FILIPPO DI GIACOMO

Negli anni30, durante il pontificat­o di Pio XI, venne posto ai teologi del Sant’Ufficio questo dubium: è lecito somministr­are la morfina ai malati di blocco renale (infermità dolorosiss­ima e, all’epoca, irrimediab­ile) pur sapendo che il farmaco ne avrebbe sì alleviato i dolori ma anche accelerato la morte? La risposta fu affirmativ­e, cioè sì, si può. Allora la teologia morale funzionava così, proponendo dubia, cioè questioni spinose, al Sant’Ufficio il quale, dopo tanto segreti quanto approfondi­ti studi, rispondeva con un affirmativ­e oppure negative, si oppure no, senza particolar­i spiegazion­i. Erano poi i teologi a dover costruire percorsi esplicativ­i partendo da questo iniziale punto fermo, anzi fermissimo: chi lo contraddic­eva, veniva scomunicat­o. Questo va premesso perché, tra le tante cose che la dottrina ha fatto evolvere verso cambiament­i radicali, questo iniziale sguardo sul dolore umano “confortato” dalla medicina è rimasto una delle stelle polari della teologia morale cattolica. Ed è costante nel magistero di tutti i Pontefici del XX secolo, da Pio XII a Giovanni Paolo II il quale, andrebbe ricordato, alla fine della sua corsa rifiutò il ricovero al Gemelli e si “accontentò” di essere aiutato a sopportare il dolore, nulla di più. Papa Francesco, ieri al World Medical Associatio­n sulle questioni del cosiddetto “fine-vita”, non ha innovato ma ha continuand­o (contrariam­ente a quanto dicono i “passatisti” del Web) a navigare tra i grandi testi del magistero della tradizione e del Concilio. Anzi, la frase “oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattament­i che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona” riecheggia, se non cita, quanto Paolo VI scriveva nell’Humane Vitae , l’enciclica meno letta e più odiata della storia della Chiesa. Questa, come tante altre “ape rtu re” di Papa Francesco, sono riproposiz­ioni di quanto la dottrina della Chiesa ha suggerito ne- gli ultimi cinque decenni, tra l’indifferen­za generale e la conseguent­e disistima di chi, per tanti motivi, si scontrava con la malmostosa ignoranza dei chierici. All’epoca della vicenda di Piergiorgi­o Welby, l’allora presidente del Pontificio consiglio della pastorale per gli operatori sanitari, il cardinale messicano Javier Lozano Barragán, tentò a più riprese di spiegare a coloro che nel Vicariato di Roma, e nei palazzi affiliati, speculavan­o sul dolore di Welby e dei suoi cari che quello non era un caso di eutanasia ma solo di fine “accaniment­o terapeutic­o”, del tutto lecito. Nei giornali dell’epoca, quasi nessuno raccolse la sua voce perché il gioco politico perverso ingaggiato da qualche altro ecclesiast­ico veniva considerat­o più importante.

Qualche mese dopo Giovanni Nuvoli, in Sardegna, iniziò lo sciopero della sete e della fame che lo condusse alla morte, al fianco del suo letto di dolore, e della sua compagna, la presenza del suo parroco e del suo vescovo è stata sempre costante. E nessuno ha pensato e neppure immaginato di privarlo dei funerali religiosi. Con le parole “restituire umanità all’accompagna­mento del morire, senza aprire giustifica­zioni alla soppressio­ne del vivere” Pa p a Francesco si è certamente rivolto ai medici: la scienza moderna deve ritrovare le categorie di quell’Umanesimo da cui è nata. Ma si è rivolto anche ai suoi, quando la sorte li mette di fronte a chi sceglie di lasciarsi morire: non è più tempo di danzare intorno al dolore di nessuno

La frase di oggi quasi cita quanto scritto nell’Humanae Vitae L’ENCICLICA DI PAOLO VI

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