Se non ti ascolto non è perché sei mio padre
“Dimmi tu cosa devo f are?”, c h ie d eva il padre. “Stare zitto, ci ries c i? ”, rispondeva il figlio. Con il film di Francesca Archibugi si chiude la lettera aperta da Michele Serra nel suo Gli sdraiati. E, contestualmente, si scopre un arcano profondo: il peccato originale di libro e film giace tutto nel titolo, anzi forse “solo” nel titolo, così “generalista e generazionalista” quanto può suonare un aggettivo sostantivato plurale.
HA FATTO BENE Claudio Bisio, protagonista anche di questa trasposizione cinematografica, a intitolare il suo monologo teatrale con Father
& Son, perché di questo raccontano tanto le parole ironiche e profonde di Serra, quanto il nuovo lungometraggio della cineasta romana, occasionalmente prestata a una Milano metamorfica come quella dell’Isola e dintorni. Dunque, va subito chiarito un equivoco: l’omonimia fra i testi risiede esclusivamente nel titolo e nell’ispirazione al soggetto, poi messo su carta da Francesco Piccolo e la stessa Archibugi, come pure la sceneggiatura che ne è derivata. Il resto è trama aggiunta su esplicita richiesta del linguaggio cinematografico.
A monte, ma molto a monte, s’intravedono i siparietti ideati da Serra ad ispirare le gesta di Giorgio Selva, famoso
anchorman tv nonché padre divorziato di mezza età in crisi di rapporto col figliolo 17enne Tito: il ragazzo è il campione indisturbato del disordine atavico, del mutismo arrogante, dello spostamento in branco, dell’indifferenza a qualunque fenomeno spazio-temporale che vada oltre lo schermo di uno smartphone.
D al l ’ altro lato, un papà piombato nella “terra di mezzo” dove galleggia sospeso e incapace di trovare un codice comunicativo col figlio e i suoi “simili”. Bisio, da “simpatico umorista” diventa un genitore dal volto emblematicamente dolente, un corpo sacrificale, benché di lui persista l’indomita ironia, motivo di ulteriore legame (e di amicizia personale) con lo scrittore.
La lettera aperta e monologica del romanzo si sdoppia nel film in termini di punto di vista: l’universo del padre e l’universo del figlio, nel contorno alcuni personaggi più o meno funzionali al loro (non) dialogo. “È il racconto di due pezzi unici, di un rapporto estremo fra un padre e un figlio: non ci sono intenti sociologici, questi eventualmente arrivano come effetto collaterale” spiega Archibugi che assai bene ha fatto proprio lo zeitgeist impresso nel testo di Serra che – a rigor di cronaca – pare sia rimasto entusiasta dalla vi- sione del film. Nelle pieghe della trama “aggiunta” si rintraccia inequivocabilmente il cinema sensibile di Francesca Archibugi: e va detto, seppur nel paradosso, che Gli sdraia
t i- fi lm è un’opera squisitamente femminile nello sguardo e nell’approccio alla materia (donne sono anche l’autrice della fotografia, del montaggio, dei costumi, della produzione artistica) benché applicata alla ricerca di un’intimità così ancestralmente maschile.
“Il rapporto estremo fra un genitore e un figlio: senza intenti sociologici”
Nei cinema dal 23 novembre.