Il Fatto Quotidiano

Se non ti ascolto non è perché sei mio padre

- ANNA MARIA PASETTI

“Dimmi tu cosa devo f are?”, c h ie d eva il padre. “Stare zitto, ci ries c i? ”, rispondeva il figlio. Con il film di Francesca Archibugi si chiude la lettera aperta da Michele Serra nel suo Gli sdraiati. E, contestual­mente, si scopre un arcano profondo: il peccato originale di libro e film giace tutto nel titolo, anzi forse “solo” nel titolo, così “generalist­a e generazion­alista” quanto può suonare un aggettivo sostantiva­to plurale.

HA FATTO BENE Claudio Bisio, protagonis­ta anche di questa trasposizi­one cinematogr­afica, a intitolare il suo monologo teatrale con Father

& Son, perché di questo raccontano tanto le parole ironiche e profonde di Serra, quanto il nuovo lungometra­ggio della cineasta romana, occasional­mente prestata a una Milano metamorfic­a come quella dell’Isola e dintorni. Dunque, va subito chiarito un equivoco: l’omonimia fra i testi risiede esclusivam­ente nel titolo e nell’ispirazion­e al soggetto, poi messo su carta da Francesco Piccolo e la stessa Archibugi, come pure la sceneggiat­ura che ne è derivata. Il resto è trama aggiunta su esplicita richiesta del linguaggio cinematogr­afico.

A monte, ma molto a monte, s’intravedon­o i siparietti ideati da Serra ad ispirare le gesta di Giorgio Selva, famoso

anchorman tv nonché padre divorziato di mezza età in crisi di rapporto col figliolo 17enne Tito: il ragazzo è il campione indisturba­to del disordine atavico, del mutismo arrogante, dello spostament­o in branco, dell’indifferen­za a qualunque fenomeno spazio-temporale che vada oltre lo schermo di uno smartphone.

D al l ’ altro lato, un papà piombato nella “terra di mezzo” dove galleggia sospeso e incapace di trovare un codice comunicati­vo col figlio e i suoi “simili”. Bisio, da “simpatico umorista” diventa un genitore dal volto emblematic­amente dolente, un corpo sacrifical­e, benché di lui persista l’indomita ironia, motivo di ulteriore legame (e di amicizia personale) con lo scrittore.

La lettera aperta e monologica del romanzo si sdoppia nel film in termini di punto di vista: l’universo del padre e l’universo del figlio, nel contorno alcuni personaggi più o meno funzionali al loro (non) dialogo. “È il racconto di due pezzi unici, di un rapporto estremo fra un padre e un figlio: non ci sono intenti sociologic­i, questi eventualme­nte arrivano come effetto collateral­e” spiega Archibugi che assai bene ha fatto proprio lo zeitgeist impresso nel testo di Serra che – a rigor di cronaca – pare sia rimasto entusiasta dalla vi- sione del film. Nelle pieghe della trama “aggiunta” si rintraccia inequivoca­bilmente il cinema sensibile di Francesca Archibugi: e va detto, seppur nel paradosso, che Gli sdraia

t i- fi lm è un’opera squisitame­nte femminile nello sguardo e nell’approccio alla materia (donne sono anche l’autrice della fotografia, del montaggio, dei costumi, della produzione artistica) benché applicata alla ricerca di un’intimità così ancestralm­ente maschile.

“Il rapporto estremo fra un genitore e un figlio: senza intenti sociologic­i”

Nei cinema dal 23 novembre.

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