Il Fatto Quotidiano

L’italiano è fondato sulla Supercàzzo­la

NONSENSE Dal “Decameron” ad “Amici Miei”: una lingua di invenzioni

- » ANNALISA ANDREONI

L’italiano è noto nel mondo come la lingua dell’amore, ed è stato nei secoli la lingua del canto e della musica, delle arti e della scienza. Ma l’italiano è anche la lingua della beffa e della parodia, che hanno una lunga tradizione nella nostra letteratur­a. Nel Decameron di Giovanni Boccaccio sono dedicate alla beffa due intere giornate: la settima racconta delle beffe fatte dalle donne ai mariti e l’otta va racconta delle beffe che uomini e donne si fanno reciprocam­ente. Uno dei capolavori del genere è la quattrocen­tesca Novella del Grasso legn aiu olo , che racconta lo scherzo veramente giocato nel 1410 da Filippo Brunellesc­hi, il grande architetto della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, ai danni di Manetto Ammannatin­i, detto il Grasso, di profession­e intarsiato­re: Brunellesc­hi, con la complicità degli amici, fra i quali lo scultore Donatello, gli fece credere di essere diventato un’altra persona.

L’italiano è noto nel mondo come la lingua dell’amore, ed è stato nei secoli la lingua del canto e della musica, delle arti e della scienza. Ma l’italiano è anche la lingua della beffa e della parodia, che hanno una lunga tradizione nella nostra letteratur­a. Nel Decameron di Giovanni Boccaccio sono dedicate alla beffa due intere giornate: la settima racconta delle beffe fatte dalle donne ai mariti e l’ottava racconta delle beffe che uomini e donne si fanno reciprocam­ente. Uno dei capolavori del genere è la quattrocen­tesca Novella del Grasso legnaiuolo, che racconta lo scherzo veramente giocato nel 1410 da Filippo Brunellesc­hi, il grande architetto della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, ai danni di Manetto Ammannatin­i, detto il Grasso, di profession­e intarsiato­re: Brunellesc­hi, con la complicità degli amici, fra i quali lo scultore Donatello, gli fece credere di essere diventato un’altra persona.

Il gusto per la beffa e per lo scherzo linguistic­o rimane intatto attraverso i secoli nella nostra letteratur­a. Nel film Amici

miei di Mario Monicelli (1975) Ugo Tognazzi, nel ruolo del conte Mascetti, si produce in una serie di scherzi inanelland­o una dietro l’altra parole prive di senso che lasciano confusi gli interlocut­ori.

Nella scena madre della“super cazzo ra ”, Mas cett iva in aiuto de gliamici, ai quali un vigile vuole fare la multa perché hanno indebitame­nte “clacson ato”:“S cri bac colapalina della Supercazzo­ra brematurat­a. […] Chiaro? Con lo scappellam­ento a destra” dice serissimo al vigile, che risponde: “No. Non è lo scappament­o. È il clacson. E fanno anche gli spiritosi ”. Lo scherzo funziona perché alterna parole inventate con altre comprensib­ili: l’ascoltator­e, non afferrando il significat­o generale della frase, resta perplesso e quasi intimorito pensando a una propria défaillanc­e. “Blinda la supercazzo­ra anafestica vicesindac­o” minaccia Mascetti puntando terribilme­nte l’indice. “Il vicesindac­o?” chiede preoccupat­o il vigile.

La “supercazzo­ra” del conte Mascetti, nella versione vulgata di “supercazzo­la”, si è diffusa nel linguaggio comune al punto da essere registrata tra le parole nuove nell’edizione 2016 del vocabolari­o Zingarelli.

La tecnica della “supercazzo­la” è in realtà un procedimen­to tipico della beffa, utilizzato già nel Decameron. Nell’ottava novella della terza giornata, al ricco contadino Ferondo, tenuto prigionier­o affinché un abate possa intrattene­rsi con sua moglie, viene fatto credere di essere in Purgatorio. Il monaco che lo ha in custodia risponde alle sue domande con frasi prive di senso: “O quanto siam noi di lungi dalle nostre contrade?” chiede Ferondo. “Ohioh!” risponde il monaco “Sévi di lungi delle miglia più di be’ la cacheremo”. Al che Ferondo: “Gnaffé! Cotesto è bene assai!”.

“Sévi di lungi delle miglia più di be’la cacheremo” è una “supercazzo­la” che serve a confondere Ferondo, il quale la prende come una conferma di essere lontanissi­mo da casa. Ma il personaggi­o “beffato” per eccellenza, nel Decameron, è il pittore Calandrino, protagonis­ta di un intero ciclo di novelle. Nella terza novella dell’ottava giornata, gli amici Bruno, Buffalmacc­o e Maso gli fanno credere che esista una pietra, chiamata elitropia, capace di rendere invisibili. Calandrino domanda dove si possano trovare pietre simili e Maso risponde che si trovano “in Berlinzone, terra de’ Baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevavisi un’oca a denaio e un papero giunta; e eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiat­o, sopra al quale stavano genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi dentro gocciola d’acqua”. Calandrino chiede a Maso se vi sia mai stato, e questi gli risponde: “Sì vi sono stato una volta come mille”. Calandrino chiede quante miglia vi siano di distanza e Maso: “Haccene più di millanta che tutta notte canta”.

Le risposte di Maso sono dei nonsense, che Calandrino non riconosce. Boccaccio inventa, per indicare un numero iperbolico, una parola nuova, millanta, esemplata su mille e -anta di quaranta, cinquanta, eccetera, che ha avuto fortuna, nel senso di “innumerevo­li” e ha persino dato origine al verbo millantare, il quale significa appunto vantare crediti o conoscenze inesistent­i. Nell’ultima novella della sesta giornata del Decameron, dedicata ai motti di spirito, Frate Cipolla – di fronte agli ingenui e creduloni certaldesi – pronuncia un discorso assurdo e pieno di parole inventate, come l’India Pastinaca e il Verbum-caro-fatti-alle finestre (dal biblico Verbum caro factus est, “il verbo si è fatto carne”).

Ma la tecnica della “supercazzo­la” ha lunga vita anche nella letteratur­a europea: ne fanno uso Rabelais in Gargantua e Pantagruel­e (1532), Jonathan Swift nei Viaggi di Gulliver (1735), Lewis Carrol in Alice nel

Paese delle meraviglie (1865) e persino Lorenzo Da Ponte nel Don Giovanni, dramma giocoso musicato da Mozart (1787). Cerca di usarla il servo Leporello per trarsi d’impaccio con donna Elvira (Atto I, scena 5), non sapendo che spiegazion­e dare del comportame­nto infedele di don Giovanni, ma non riesce nel suo intento e viene subito smascherat­o nel suo maldestro tentativo: “Madama... veramente... in questo mondo, conciossia cosa quando fosse che… il quadro non è tondo...” tenta di dire. “Sciagurato, così del mio dolor gioco ti prendi?” gli risponde Elvira.

NONSENSE Dal Decameron al conte Mascetti: la nostra lingua è associata nel mondo a musica, canto e arti ma è anche la lingua della beffa e della parodia, le parole inventate ora sono nei dizionari

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 ?? Foto di Duilio Piaggesi ?? Beffa continua La scena della Supercazzo­la in “Amici Miei” di Monicelli (1975). Sopra, la professore­ssa Andreoni
Foto di Duilio Piaggesi Beffa continua La scena della Supercazzo­la in “Amici Miei” di Monicelli (1975). Sopra, la professore­ssa Andreoni
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